Armando Siri non è più un sottosegretario del governo Conte. Il premier ha deciso di “licenziare” l'esponente leghista indagato per corruzione, al termine di un Consiglio dei ministri scandito da «un confronto leale e aperto» in cui è stata ribadita «piena fiducia nel mio operato», assicura il primo ministro. «Il governo si è comportato nel modo migliore», afferma soddisfatto Conte.

«Dobbiamo preservare il patrimonio di fiducia dei cittadini nei nostri confronti», dice, ricordando poi agli alleati che «se non avremo più i cittadini al nostro fianco difficilmente potremo proseguire in modo efficace nell’azione di governo, difficilmente potremo vantarci di essere il governo del cambiamento».

La tanto temuta conta alla fine non c'è stata: la Lega accetta la decisione di Conte, fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, senza arrivare allo strappo.

«Mi fa piacere non si sia andati alla conta, il nostro obiettivo non era avare una superiorità numerica né morale», dice in conferenza stampa Luigi Di Maio, chiarendo anche quale sarà l'atteggiamento del suo partito in caso di episodi simili in futuro. «Non c’è principio di colpevolezza, valuteremo sempre caso per caso come forza politica, ma ci vuole precauzione come istituzioni, perché teniamo alla credibilità di questo governo», spiega il capo politico. Ma Su Siri «non potevamo chiudere un occhio», aggiunge il vice premier grillino. Di Maio rivendica la scelta del premier, definita un «importante segnale di discontinuità rispetto al passato» e una «vittoria degli italiani».

Ma per quanto i 5Stelle provino adesso ad abbassare i toni, ai leghisti non sembra andare giù la posizione dell’alleato: intransigente sulla questione morale solo quando sotto inchiesta finiscono esponenti degli altri partiti.

«La sindaca Raggi? Prendo atto che è al suo posto pur essendo indagata da anni», commenta infastidito Matteo Salvini. «I nostri candidati sono specchiati, se la sindaca è al suo posto vuol dire che forse ci sono colpe di serie A e di serie B, sindaci di serie A e di serie B, presunti colpevoli di serie A e di serie B...», aggiunge il segretario del Carroccio. «A casa mia se “uno vale uno” inchiesta vale inchiesta e comunque i processi non si fanno in piazza».

I leghisti nascondono a stento il fastidio per quella che ritengono una forzatura imposta dal socio di maggioranza, ma provano a guardare avanti. «Basta coi litigi e con le polemiche, ci sono tantissime cose da fare: flat tax per famiglie, imprese e lavoratori dipendenti, autonomia, riforma della giustizia, apertura dei cantieri, sviluppo e infrastrutture.

Basta chiacchiere, basta coi no e i rinvii», dicono alcune fonti del Carroccio, mettendo sul tavolo una serie di argomenti e priorità su cui, fino a ora, Di Maio e compagni avevano imposto preferito evitare il confronto. Per questo è difficile immaginare che lo “scalpo” di Siri ponga fine ai battibecchi tra alleati.

Le prossime settimane di campagna elettorale non saranno più serene delle precedenti.

E proprio nel giorno in cui Lega e 5Stelle litigano per contendersi il gradimento dell’elettorato a colpi di sottosegretari allontanati da Palazzo Chigi, Armando Siri si presenta davanti ai pm capitolini per depositare una propria memoria e rilasciare dichiarazioni spontanee.

Il senatore «ha ribadito con fermezza di non aver mai ricevuto, né da Paolo Franco Arata, né da chiunque altro, promesse di pagamento o dazioni di denari, facenti riferimento al merito della sua attività di Senatore della Repubblica e/ o di Sottosegretario di Stato», dice l’avvocato Fabio Pinelli difensore dell’esponente leghista. Ma politicamente il suo assistito è già diventato un ex.