La scaletta del Concertone a piazza San Giovanni le aveva tenute fuori, ma le donne si sono riprese la scena. La polemica che aveva caratterizzato la vigilia del classico appuntamento del Primo Maggio non era campata in aria e bene hanno fatto le artiste che hanno organizzato un contro evento all’Angelo Mai, lo spazio occupato a Roma. Ma accesi i riflettori, iniziata la “festa” la voce delle donne si è fatta sentire con forza. Si è sicuramente sentita quella di Ambra Angiolini, una attrice e donna di spettacolo che ogni volta, come una sorta di maledizione, deve dimostrare di non essere più la ragazza teleguidata di “Non è la Rai”. Anche questa volta c’è riuscita dominando il palco senza sbavature, con simpatia e professionalità. Ilaria Cucchi, che da anni porta avanti con raro coraggio la battaglia perché emerga la verità sulla morte di Stefano, l’altro ieri ha conquistato anche il palco di San Giovanni. Il suo esempio, più di tanti altri discorsi politici, riesce a parlare alla generazione in piazza, rappresenta un simbolo importante anche per loro che hanno urlato, in coro, il nome del fratello. A Bari, dove era in corso la manifestazione di cinema Bifest, Valeria Golino nel salutare la platea ha osato addirittura fare l’augurio di un buon Primo Maggio con il pugno chiuso, con un gesto fino a qualche anno fa scontato, quasi retorico, ma che oggi in pochi, soprattutto nel mondo del cinema, sembrano ricordarsi e che assume quindi una valenza quasi dirompente.

Ma come è possibile che l’accusa di esclusione delle donne dal Primo Maggio e questo protagonismo femminile vadano insieme? La risposta è semplice da enunciare, difficile da rimuovere. Il problema delle artiste che non arrivano sul palco dei grandi eventi non dipende certo dalla mancanza di talenti o dalla mancanza di artiste determinate, ma da una struttura di potere che - più si sale - più resta nelle mani degli uomini. Giustamente gli organizzatori del Primo Maggio hanno protestato contro produttori e agenzie delle cantanti che hanno detto no alle loro proposte di ingaggio. Sotto accusa è la struttura che va cambiata, anche forzando la mano, perché niente accade per caso o con facilità. Ma nonostante il potere continui a restare nelle mani maschili in vari ambiti ( politica, arte, sapere) le donne sono diventate più forti, più determinate e appena conquistano lo spazio pubblico si fanno sentire. Il Primo Maggio lo hanno fatto cogliendo anche il bisogno di simboli di una generazione.

Il tifo quasi da stadio per Ilaria, il pugno chiuso di Valeria, la forza di Ambra di uscire dallo stereotipo che le era stato cucito addosso raccontano un immaginario in cui le nuove generazioni cercano di identificarsi. Per tanti anni si era pensato che la società liquida, secondo la definizione stra abusata ( anche da lui stesso) del sociologo Zygmunt Bauman, non avesse bisogno di simboli, che la caduta del muro portasse con sé un immaginario pacificato, lineare. In questi anni abbiamo scoperto, anche amaramente, che non è così. La mancanza di simboli ha generato l’identificazione nella rabbia, nel rancore. La comunità ha trovato coesione non sulla solidarietà ma sull’odio nei confronti dell’altro, un meccanismo profondo, che ha poi avuto nei social network lo strumento per diffondersi e rigenerarsi. Oggi le nuove generazioni sembrano voler chiedere altro, vogliono poter credere in qualcosa. Il successo del film sulla vicenda di Stefano Cucchi, Sulla mia pelle, il calore con cui Ilaria è stata accolta sul palco del Primo Maggio sono i segni di questa necessità, di questo bisogno di uscire dal presente e di credere nel futuro. E’ lo stesso meccanismo che ha fatto scattare Greta Thunberg ( un’altra giovanissima donna). Non solo la questione ambientale, ma il bisogno di credere in qualcosa. La preoccupazione per il pianeta che stiamo distruggendo come necessità di condividere la stessa idea di mondo, di umanità.

E per questo che il Concertone funziona ancora: perché dà una risposta anche se occasionale alla necessità di stare insieme intorno a un ideale condiviso. Quest’anno l’offerta era molto giovane, nomi forse non noti a tutti, ma amati dal pubblico che va a piazza San Giovanni. Rancore, Anastasio, Zen Circus, Ghemon, Achille Lauro, Ghali, Motta e gli ormai “vecchi” Daniele Silvestri e i Negrita. I quaranta, cinquantenni si sono molto lamentati. Ma questa volta tocca a loro, a quei ragazzi e a quelle ragazze che hanno urlato “Stefano, Stefano”.