Un paese che ha il doppio della disoccupazione giovanile rispetto alla media Ue avrebbe poco da festeggiare. Ma la festa del lavoro è un momento di bilanci su quello che si ha e su ciò che occorre fare. Deve tenere insieme anche chi un lavoro degno lo vede ancora come un miraggio con chi trova soddisfazione nella propria occupazione.

Quando ero piccolo, ricordo che dai miei nonni, in Romagna, contadini, mezzadri, operai, accendevano un fuoco vicino la propria casa come a dire, “ci siamo anche noi” siamo l’Italia del lavoro. Una fierezza che è stata aggredita, mortificata dall’Italia dei furbi, della rendita. Quella è ancora l’Italia che sostiene l’ 85% del gettito fiscale del paese. Condoni, sanatorie, sussidi ai falsi poveri vogliono farla stancare, rassegnare. E invece dobbiamo ripartire da loro.

Ci sono luoghi nel mondo in cui è vietata questa festa. Teniamocela cara, il lavoro è una delle forme più nobili attraverso cui l’uomo acquisisce dignità e cittadinanza. La narrazione per cui tutto va male e andrà peggio non ha fondamenti ma ha precisi scopi. Impedire ogni progresso. Girano medie complessive sul mondo del lavoro italiano per cui non abbiamo saputo difendere il potere d’acquisto dei salari. “Medioni” che mischiano pubblico, privato, terziario e industria. Chi ha due livelli di contrattazione e chi ha avuto il blocco per 8 anni. Dati sull’occupazione che celano che siamo il paese campione di lavoro nero e evasione contributiva.

Con i condoni fiscali, i sussidi, e tante promesse è chiaro il target di riferimento di queste politiche: l’Italia dei furbi. Sono politiche utili a far sentire dei “fessi” l’Italia che fatica e non chiede sconti. Ritorniamo a dare merito e onore all’Italia del lavoro. Quella che a prescindere da qualsiasi Governo si rimbocca le maniche tutte le mattine. E’ un momento in cui bisogna ripensare tutto nel lavoro e occorre concentrare tutte le nostre energie a progettare un futuro che può essere formidabile per la condizione umana. Siamo un paese, campione di inventori e somaro nell’innovazione. La retorica del “si è sempre fatto cosi” o quella nuovista in cui si scambiano le vere trasformazioni con le mode è pericolosa perché fa perdere grandi opportunità. A mio avviso il nostro paese vive ogni novità con il ciclo OMN, di cui parlo nel libro, ad ogni novità la prima risposta è l’Opposizione, che poi diventa Moda per poi passare alla Nausea. E quando, come ora siamo in mezzo ad una grande rivoluzione, il rischio è di trattarla come la moda delle espadrillas.

La tecnologica può essere un grande alleato per l’umanizzazione del lavoro ma bisogna avere competenze e capacità progettuali. E’ evidente che viene ridiscusso il lavoro soprattutto nella sua collocazione spazio/ tempo. Orari e luoghi fissi sono sempre più inutili per moltissimi lavori.

Lo Smart working contrattualizzato sta dando risultati: migliorare la conciliazione del lavoro con la vita, aumento della produttività, riduzione degli orari di lavoro, miglioramento della sostenibilità ambientale. Ci sono troppe aziende ( e molti sindacalisti) che fanno fatica a ripensare il loro ruolo e bloccano queste evoluzioni virtuose. Se le gerarchie aziendali e gli spazi e tempi di lavoro servono al controllo e non alla conciliazione della produttività con il benessere delle persone, si risolverà un problema di autostima del manager ma si farà male alla produttività dell’impresa.

I riders non sono nel lavoro della mia categoria ma sono un buon esempio per dimostrare quanto sia inadeguata l’autostrada bicolore per cui in Italia esistono solo due tipi di lavoro: autonomo e dipendente. Il nuovo lavoro non è né l’uno e ne l’altro. E bisogna smetterla di voler inserire il nuovo nelle scatole vecchie e inadeguate faremo al contempo un torto a lavoratori e a imprese.

Per questo anche ragionamenti su salario minimo legale, tutele che non tengano conto di questa novità rischiano di essere troppo astratti. Bisogna lanciare a livello europeo una battaglia per degli standard minimi del lavoro degno, sotto i quali non si può andare mai e quando accade si deve revocare la patente di imprenditori. Credo nel futuro ma i morti e gli infortuni di questi mesi mostrano un paese in cui vi sono ancora troppi delinquenti mascherati da imprenditori. Non bisogna dargli tregua.

E’ la misura più forte dei precedenti governi per un motivo fondamentale. Accantona l’ossessione di legificare sul mercato del lavoro in un paese che ha un problema strutturale di innovazione e produttività. In 10 anni 8 riforme del mercato del lavoro sono una follia dannosa per il lavoro. Lavorare sulle politiche dell’offerta è la cosa più intelligente. I politici che vogliono risultati immediati sul lato della domanda fanno solo demagogia. Il lavoro si crea con gli investimenti e con un ecosistema intelligente e sostenibili che non mortifichi ma incentivi il lavoro.

Il dato Istat di marzo è positivo, bene. Bisogna smetterla però di dire che se le cose van bene è merito del Governo e se van male è colpa della crisi internazionale. Vale per tutti. Oggi il Governo ha tentato di recuperare il vuoto strategico sul lavoro della legge di bilancio col decreto crescita in cui l’unica certezza è l’aumento del debito e della pressione fiscale. Un capolavoro.

Siamo nel momento delle più grandi opportunità nella storia dell’umanità. Bisogna fare lo siano per tutti, questa è la sfida. Vi è un’inflazione del termine riformismo. Il riformismo non è ottimismo ingenuo ma capacità di costruire sempre una strada di progresso specie nei momenti difficili. E’ accettare i fischi, l’impopolarità delle scelte coraggiose, la solitudine delle incomprensioni. Bisogna smetterla di invocare nemici astratti: la globalizzazione, il liberismo, etc. un armamentario su cui i sovranisti sono imbattibili e le persone capiscono solo la nostra confusione mentale e la nostra voglia di allontanare da noi le responsabilità. C’è troppo “cinismo chic” di una sinistra in vestaglia che deride ogni speranza. Il mio libro “Contrordine Compagni”, è però un messaggio a tutti, serve un piano di riscossa civica capace di far sentire tutti utili. Bisogna mobilitare le persone sulla base di valori. Al ricorso furbo dei valori tradizionali sovranisti, non si può rispondere con le ideologie. La potenza della testimonianza quotidiana di chi ama le persone più di qualsiasi idea deve essere l’energia vitale di riscatto della condizione umana.