Le polemiche sul 25 aprile, le bordate sui migranti, la richiesta di dimissioni di Armando Siri. Tutti i fronti aperti tra Movimento 5 Stelle e Lega hanno fatto da sfondo, ieri sera, a uno dei Consigli dei ministri più tesi da quando Giuseppe Conte siede a Palazzo Chigi. Tutti tranne uno, il più delicato, il “Salva Roma”, che avrebbe dovuto occupare gran parte del tempo della riunione. Invece, opportunamente, il Decreto crescita ( che ospita anche i fondi per la Capitale) sparisce dall’ordine del giorno del Cdm, insieme a Luigi Di Maio, impegnato in tv con Floris. «Ma sarà sul tavolo, verrà esaminato “fuori sacco”», fanno sapere da Palazzo Chigi, «perché già approvato il 4 aprile scorso con la formula salvo intese».

Ma mentre scriviamo, la misura con cui lo Stato si impegna a farsi carico di una parte di debito storico di Roma - in tutto 12 miliardi di euro accumulati fino al 2008 - continua a trovare l’opposizione netta di Matteo Salvini, convinto che non ci possa essere «un intervento salva- Raggi quando ci sono tanti Comuni italiani in difficoltà e che hanno bisogno. O si aiutano tutti oppure non ci sono cittadini di serie A o di serie B, così come non ci sono sindaci di Serie A e di Serie B». Il ministro dell’Interno, da tempo in rotta di collisione con la prima cittadina romana, non ha alcuna intenzione di «regali a qualcuno», meglio dunque togliere dal tavolo il provvedimento per scongiurare una contrapposizione insanabile. «È probabile che Salvini non abbia compreso la natura della misura», replica a Salvini l’altro vice premier Di Maio, «visto che punta a non far pagare più non solo ai cittadini romani gli interessi su un debito vecchio di 20 anni alle banche, ma anche a tutti gli italiani considerato che i 300 milioni il governo Berlusconi li prese nel 2008 dalla fiscalità generale», aggiunge, ricordando implicitamente al socio di maggioranza che a sostenere il provvedimento sui conti capitolini fu anche il suo partito, la Lega, nel 2008 al potere insieme a Forza Italia. «Spiegherò io stesso tutto questo a Salvini e sono sicuro che troveremo una soluzione», insiste il capo politico pentastellato.

Ma se su Roma i grillini accettano di non portare lo scontro alle estreme conseguenze, sul sottosegretario leghista indagato per corruzione rilanciano. Poche ore prima del Consiglio dei ministri, sul Blog appare un lungo post, firmato Movimento 5 Stelle, dal titolo: «Quattro domande alla Lega sul caso Siri». I grillini pretendono un passo indietro del sottosegretario ai Trasporti e non ci girano intorno. «Nessuno può nascondersi dietro la presunzione di innocenza di fronte all’ipotesi di un reato di corruzione. Non può farlo, a maggior ragione, quando nella stessa inchiesta emergono legami con la mafia», si legge sul post. «Si può difendere, è un suo diritto, ma deve farlo lontano dalla sua carica», scrivono ancora i 5Stelle, prima di porre i quattro quesiti annunciati dal titolo: «Quali sono i reali rapporti tra Siri, la Lega e Paolo Arata? Perché il sottosegretario ha presentato più volte delle proposte, sempre bloccate e rispedite al mittente dal M5S, per incentivare l’eolico? Perché Siri si è contraddetto, cambiando versione più volte? Il figlio di Arata è stato assunto da Giorgetti presso il Dipartimento programmazione economica. Giorgetti sapeva che era figlio di Arata e dei rapporti del padre con Nicastri?». Il tono inquisitorio delle domande innervosisce parecchio Salvini, irremovibile nella difesa del suo sottosegretario. «O è cambiato il diritto penale, o la Costituzione, oppure in Italia si è colpevoli in caso di processo e di condanna», afferma il leader del Carroccio, stroncando le richieste degli alleati. Il diretto interessato, Siri, fa sapere invece attraverso il suo avvocato di essere pronto a chiarire «a chiarire, qualora fosse ritenuto necessario o anche solo opportuno, nelle rispettive sedi istituzionalmente competenti». E a poche ore dal 25 aprile lo scontro tra gialli e verdi non può risparmiare la Liberazione. Se il ministro dell’Interno preferisce tenersi lontano dalle commemorazioni per andare a Corleone («perché la Liberazione che ora serve al Paese è quella dalla mafia», dice) Di Maio non si lascia sfuggire l’occasione per distinguersi. «Leggo che qualcuno oggi arriva persino a negare il 25 aprile, il giorno della Liberazione. Lo trovo grave», scrive su Facebook il ministro del Lavoro. «E poi, concedetemelo, è curioso che coloro che oggi negano il 25 aprile siano gli stessi che però hanno aderito al congresso di Verona, passeggiando mano per la mano con gli antiabortisti», aggiunge, attaccando a testa bassa gli alleati.

E in questo clima diventa complicato scommettere su quale sarà il prossimo terreno di scontro tra Lega e Movimento 5 Stelle, visto che ieri persino un accoltellamento tra senza tetto si è trasformato in un pretesto per una zuffa di governo, con tanto di rimpallo di responsabilità.

La campagna elettorale è ancora lunga e le possibilità di sopravvivenza della maggioranza si assottigliano. E intanto lo spread torna a salire. Ieri ha raggiunto quota 263.