Il fatto che l’iter legislativo per introdurre la figura dell’avvocato in Costituzione sia iniziato «è un successo indiscutibile per avvocatura», commenta Giorgio Spangher, professore emerito di diritto processuale penale all’Università di Roma La Sapienza, che al tema ha dedicato molte riflessioni e che oggi si dice soddisfatto della presentazione del disegno di legge costituzionale al Senato, con l’obiettivo di inserire nell’articolo 111 della Carta l’avvocato. E’ una introduzione necessaria? Opportuna e necessaria. L’avvocato, come collocazione nella Carta costituzionale, non poteva essere ricondotto al solo articolo 24, che tutela il diritto di difesa. Per quale ragione? Perché il diritto di difesa è un diritto civile e politico del cittadino, per questo si trova in quella parte della Costituzione. L’avvocato, invece, deve trovare la sua collocazione nella giurisdizione. Condivide, dunque, il fatto che il disegno di legge costituzionale modifichi l’articolo 111? Certo, è giusto che l’avvocato trovi la sua collocazione come soggetto della giurisdizione: nel 111 quindi, come il magistrato si trova nel 112. Il punto di collocazione della modifica costituzionale era decisivo ed è perfetto: il primo passo è stato fatto in modo corretto, perché così si supera il mero diritto del cittadino a difendersi e si colloca l’avvocato come soggetto, accanto al pm e al giudice terzo e imparziale. L’avvocato è citato anche in altri articoli della Costituzione, però. Bisogna intendersi: si fa riferimento ad avvocato, ma sempre come qualifica per concorrere per determinati incarichi, come quello alla Corte costituzionale. Si tratta di una funzione diversa, perché è una connotazione soggettiva. Nel momento in cui, con questa legge di riforma costituzionale, lo si colloca come soggetto nella giurisdizione, gli si riconosce un ruolo nella giurisdizione, come titolare di diritti propri, al pari di giudice e pm. E’ un riconoscimento della condizione dell’avvocato. Può avere altre implicazioni? Una indiretta. C’è una norma a cui sono legato, l’articolo 106 della costituzione, che prevede che il Consiglio superiore della magistratura può selezionare avvocati per far parte della Cassazione. La modifica all’articolo 111 è importante perché l’avvocato porta nella giurisdizione una prospettiva diversa: la giurisdizione appartiene alla società e l’avvocato in Costituzione rafforza anche la presenza degli avvocati in Cassazione, che arricchiscono il significato delle norme. Come mai i padri costituenti non lo avevano previsto prima? Perché nel 1948 i costituenti avevano incentrato tutto in particolare sui diritti del cittadino. Da allora, la giurisdizione si è molto arricchita e l’articolo 111, che definisce il giusto processo di natura accusatoria, si impernia sulla difesa e dunque sul ruolo di avvocato. La riforma di cui stiamo parlando, poi, riconosce all’avvocato - che porta la toga come il giudice e il pm - il suo essere soggetto con pari dignità e diritti. Infine, nel tempo, il ruolo dell’avvocato è cresciuto e si è evoluto. Politicamente, quale è l’elemento più importante? Io considero assolutamente non secondario e anzi centrale il fatto che il disegno di legge costituzionale porti le firme di entrambe le forze politiche di maggioranza. L’introduzione dell’avvocato in Costituzione, infatti, non è nel contratto di governo. Dunque, senza l’accordo di entrambi i partiti di governo difficilmente la proposta sarebbe andata avanti. Il fatto che se ne facciano carico entrambi i partiti offre invece molte chance di successo. Peggio sarebbe stato, se invece in modo individuale Lega o 5 Stelle si fossero intestati la battaglia: così, invece, ci sono buone possibilità che l’iter aggravato di approvazione arrivi alla conclusione.