«La Costituzione detta i principi. Il tempo impiegato dalla giurisprudenza e dal legislatore per attuare quei principi può anche essere lungo. Ma gradualmente si arriva a una traduzione concreta, tangibile. Così sarebbe anche per il riconoscimento costituzionale dell’avvocato e del suo ruolo».

Giuseppe Morbidelli è ordinario di Diritto amministrativo alla Sapienza e ha particolarmente a cuore l’equilibrio nel rapporto fra Stato e cittadino. A poche ore del Congresso nazionale forense, convocato in “sessione ulteriore” proprio sul tema del “Ruolo dell’avvocato per la democrazia”, il professore riflette sulla portata di una modifica della Carta quale quella attesa dalla professione forense. Una legge costituzionale che il governo potrebbe presentare nei prossimi giorni e che scolpirebbe due principi: imprescindibilità dell’avvocato nel processo, in vista della “effettività della tutela dei diritti” e dell’“inviolabilità del diritto di difesa”, richiamate al primo comma nella versione del testo al momento più accreditata; e “posizione” di “libertà, autonomia e indipendenza” nella quale l’avvocato, in base al secondo comma di quel testo, “esercita la propria attività professionale”. «Si tratterebbe di un richiamo a una più intangibile dignità della funzione del difensore, che avrebbe riflessi, forse graduali ma inevitabili, innanzitutto sul piano dell’effettività del diritto di difesa e dunque della parità tra le parti nel processo», osserva Morbidelli.

Sarebbe un passo avanti, per esempio, verso l’effettiva attuazione, in ambito penale, di quel modello accusatorio considerato incompiuto da molti studiosi?

Consentirebbe di attenuare lo squilibrio tuttora esistente in favore del pubblico ministero nel processo penale, certo. Ma ripeto: secondo tempi e gradualità che andrebbero messi nel conto. D’altronde, già oggi la professione di avvocato ha un suo rilievo nella Costituzione, consustanziale com’è all’articolo 24 sul diritto di difesa. Non c’è dubbio che riconoscere in modo esplicito e specifico il ruolo dell’avvocato rappresenterebbe innanzitutto una proiezione del principio del giusto processo. Verrebbe nobilitata la figura dell’avvocato e da tale richiamo verrebbero effetti sul piano processuale. È vero che il suo ruolo è oggi segnalato dalla presenza nella Corte costituzionale e nel Csm, e al vertice della giurisdizione, così come è chiaro che un richiamo specifico accrescerebbe tale peso. Ma le conseguenze non sarebbero solo queste.

Quali altre ne deriverebbero?

Le modifiche costituzionali ne producono sempre su diversi piani. Basti pensare a quel richiamo alla “effettività della tutela dei diritti” inserito nel testo attorno al quale finora si è discusso: potrebbe tradursi per esempio in una maggiore severità dei criteri per l’accesso alla professione e di quelli per la verifica delle condotte sul piano disciplinare.

Aspetto che chiama implicitamente in causa il rilievo dell’istituzione forense.

Certo, l’onere di verificare l’effettiva qualità di ciascun difensore ricadrebbe in capo all’organo che rappresenta l’autonomia dell’avvocatura. Un eventuale richiamo al principio della “effettività” avrebbe anche un’altra conseguenza. Quella stessa ipotesi di modifica su cui ragioniamo consente “casi straordinari” in cui sarebbe “possibile prescindere dal patrocinio”, casi già attualmente previsti, a certe condizioni, nelle cause presso il giudice di pace, in ambito amministrativo o tributario. Ecco, in tali circostanze potrebbe individuarsi la possibilità per lo stesso giudice di intervenire d’ufficio, lì dove non c’è un difensore, con un ruolo supplente, ad esempio con la richiesta di prove. E avremmo ancora ulteriori riflessi dalla affermazione dell’autonomia, indipendenza e soprattutto “libertà” dell’avvocato.

Principi di grande significato per la civiltà giuridica.

Certo, ma anche portatori di conseguenze per casi particolari qual è ad esempio la condizione degli avvocati degli enti pubblici. Forse si dovrebbe arrivare a far discendere, da una loro “libertà” costituzionalmente sancita, anche una possibile obiezione di coscienza, in quei casi in cui il professionista ritenga che il caso assegnatogli dall’amministrazione sia indifendibile. Si tratta di un aspetto molto particolare, certo, dovuto alla necessità, avvertita a volte dagli enti, di definire direttive per i loro uffici legali che contrastino con indirizzi giurisprudenziali prevalenti, come nei contenziosi relativi al codice della strada.

Ma le conseguenze più profonde, di una simile riforma, lei dice, si avrebbero in tempi più distesi: perché?

Si tratta di una norma che innanzitutto nobiliterebbe la professione. In tal modo, in prospettiva, le assegnerebbe un maggior rilievo nel contraddittorio con il pm, ad esempio, in ambito penale. Oggi i magistrati dell’accusa vantano diverse prerogative rispetto alla difesa, checché se ne dica.

E un simile sbilanciamento si attenuerebbe?

Pensiamo a cosa è avvenuto da quando si è introdotta la nozione di “paesaggio”: il suo rilievo costituzionale, inizialmente, non era ritenuto portatore di conseguenze particolari sul piano legislativo. Poi è emerso come la stessa bellezza naturale costituisca un bene pubblico meritevole di una materiale tutela, anche se il principio a volte è tradito dalle singole scelte.

Ora, da quel punto di vista, la bilancia tende finalmente a un equilibrio diverso.

E come una disposizione che incide sul paesaggio, nel dubbio, è interpretata ora in modo da tutelare tale bene, così il riconoscimento del ruolo costituzionale dell’avvocato andrebbe tenuto in conto. Si pensi semplicemente ai problemi posti dai casi di mancata comunicazione o notifica, o di rinuncia: se implicano una lesione del principio dell’effettività della tutela, con la modifica costituzionale di cui parliamo sarebbero risolti più probabilmente in chiave favorevole alla difesa.

Il presidente Cnf Mascherin ha più volte osservato come autonomia e indipendenza dell’avvocato garantirebbero meglio anche quelle del magistrato. È d’accordo?

È una lettura assolutamente condivisibile. Il sistema della giurisdizione è costituito dai giudici in senso stretto, ma in senso lato coinvolge eccome gli avvocati. Ora, la magistratura ha senz’altro tutto l’interesse a che vi sia una professione forense colta, preparata e disponibile. E a maggior ragione tale sarebbe, l’avvocatura, in seguito al riconoscimento costituzionale del proprio ruolo. Tutelare l’avvocato vuol dire tutelare l’interesse generale a che la giustizia funzioni. Un valore per il magistrato e per l’intera collettività.