Trentottomila euro di debito per ciascun italiano, minori compresi. E’ un fardello enorme: però non pesa. Nessuno lo avverte: né i cittadini né il governo. Seguendo un’antica e consolidata italica tradizione, un po’ tutti fanno finta che si tratti di una iperbole, roba che sfreccia nell’iperuranio come quei meteoriti che viaggiano nello spazio e ad un certo punto “sfiorano” la Terra restando distanti milioni o miliardi di chilometri.

Solo che in questo caso i miliardi viaggiano ad un passo da noi, sono i 2358 che segnano il debito pubblico nazionale e a differenza di quegli oggetti volanti aumentano non di velocità bensì di corposità. Ma non appare elemento tale da destare eccessive preoccupazioni. Eppure quei miliardi di debito ci costano un’infinità di risorse annue che servono per pagare gli interessi e fare in modo che ogni asta di titoli pubblici sia adeguatamente sottoscritta dagli investitori. Il prossimo Consiglio dei ministri si appresta a varare un pacchetto di misure tali da favorire la crescita e stimolare il Pil. Così l’economia si rimette in moto, la stagnante produttività risale e di conseguenza anche il mostro del debito fa meno paura.

Vedremo. Intanto gli indicatori economici restano negativi e le ombre di recessione si consolidano. L’esecutivo entro il 10 aprile deve presentare il Documento di programmazione economico- finanziaria che dovrebbe spiegare dove trovare i circa 30 miliardi che servono a disinnescare l’aumento dell’Iva. Per non impegnarsi troppo, i rumors dicono che il Def sarà in versione light: molte indicazioni teoriche, pochi impegni cogenti. E con questo abbrivio si andrà alla predisposizione della legge di bilancio entro settembre. E’ un timing che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, conosce molto bene e che sarà oggetto di innumerevoli contatti con i Commissari della Ue, benché in scadenza.

Insomma l’approdo è chiaro: come arrivarci assai meno. In mezzo ci sono le elezioni europee di fine maggio, una specie di Rubicone che devono passare sia le forze della maggioranza che le opposizioni. L’elemento più sconcertante è la doppia verità - o doppia menzogna, è lo stesso - che si manifesta nel rimpallo tra i media e i due dioscuri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Da un lato, infatti, questi ultimi insistono sul fatto che il governo Conte arriverà a fine legislatura e non c’è spazio né per crisi né per rimpasti e tanto meno per elezioni anticipate. Dall’altro giornali e tv rimandano l’immagine di una maggioranza sbandata fino allo sfarinamento, divisa su tutto e con Lega e M5S pronti a farsi lo sgambetto alla prima occasione utile. E tutti lì a dire che così non si può andare avanti, che le Europee segneranno un giro di boa definitivo. E anche gli altri tutti lì ad assicurare che non è vero, che convivono sensibilità diverse ma compatibili, che non ci sono strappi alle viste e che tutt’al più un chiarimento come quello chiesto da Di Maio all’altro vicepremier rimetterà le cose a posto.

In realtà tutti sanno, dal Quirinale fino a Pd, FI e FdI, che alternative realistiche allo statu quo non esistono. E che se non le farà emergere il voto di fine maggio ( ma sarà difficile) possibilità di individuare equilibri politici diversi dall’attuale risulterà esercizio da acrobati. In un tale florilegio di previsioni, spinte elettoralistiche, propaganda, proprio sotto il profilo dell’economia emerge il dato forse più preoccupante di tutti: l’afflosciarsi del principio di legalità, l’incrinatura del patto sociale che sottende la questione fiscale. Le “definizioni agevolate” ( o condoni?) varate dal governo e la ricerca della “pace fiscale” minacciano di produrre uno sbrego nel cuore stesso del patto Stato- cittadini. Ma anche questo è come il debito: tutti sanno che c’è e nessuno ne parla. Nella speranza che un giorno sparisca da solo.

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