«Sarebbe ora che le coscienze libere prendessero consapevolezza di quanto, nell’indifferenza generale, sta accadendo nel nostro Paese», afferma Pierantonio Zanettin, componente della commissione Giustizia della Camera per Forza Italia ed ex membro del Csm, commentando la modifica dell'articolo 416 ter del codice penale, quello che punisce lo scambio elettorale politico- mafioso (il cosiddetto voto di scambio), approvata a Montecitorio la scorsa settimana.

La nuova formulazione del 416 ter, voluta dal M5s, inasprisce le pene (è prevista la reclusione da 10 a 15 anni) per i politici accusati di aver siglato accordi elettorali con esponenti mafiosi. Se colui che ha accettato la promessa di voti risulta poi effettivamente eletto, la pena viene aumentata della metà. In caso di condanna, inoltre, segue anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

È sanzionata, poi, la condotta di chi offre “la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze della associazione mafiosa”, con la previsione della sanzione anche nel caso che la promessa di voti provenga da non meglio specificati “soggetti appartenenti alle associazioni” mafiose. Molti hanno già sottolineato che la genericità della fattispecie così formulata lascerà ampia discrezionalità al magistrato. Concetto ribadito in senso però positivo durante la discussione in Aula da parte del pentastellato Andrea Colletti, secondo cui «tutte le norme devono essere in un certo senso vaghe» perché possano essere interpretate «dalla giurisprudenza sia in maniera estensiva sia in maniera restrittiva».

«Nel corso della discussione di questa proposta di legge – ha replicato Zanettin – abbiamo posto con forza nel dibattito parlamentare il tema della consapevolezza da parte del politico della appartenenza alla associazione mafiosa dell’intermediario o di chi promette voti. La nuova formulazione del 416 ter esporrà tutti i candidati impegnati in campagne elettorali al rischio di un coinvolgimento in indagini ed in procedimenti penali, anche in assenza di una precisa condotta dolosa, tassativamente normata, soprattutto in tutte quelle campagne elettorali caratterizzate dalla preferenza, nelle quali la ricerca di consensi personali comporta inevitabilmente il contatto con una vasta platea di elettori, dei quali non è ragionevolmente possibile conoscere a priori la moralità o il casellario giudiziario», aggiunge il parlamentare azzurro.

«Chi ha voluto una riforma del genere si immagina che le prossime campagne elettorali vengano condotte direttamente dal divano di casa, utilizzando esclusivamente le piattaforme social», conclude Zanettin, non omettendo di sottolineare come «in questo Parlamento continui a prevalere una concezione giustizialista, che mette in discussione valori, frutto di secoli di civiltà giuridica».

A dare manforte al deputato vicentino, l’Unione Camere penali. Questa è una riforma, scrivono i penalisti, che «mette a rischio coloro che, invece di affidarsi alla rete e ai suoi gestori per costruire il consenso, pensano ancora ad un impegno politico che muova da un rapporto diretto con il territorio e con le istanze dell’elettorato di riferimento. Una legge che si iscrive a pieno titolo nella strategia distruttiva delle democrazia rappresentativa».