«Condanno il gesto, è lontano da me, non mi appartiene e sono profondamente sconcertato di essere stato assunto a simbolo per una mattanza del genere, commessa da un pazzo». Luca Traini, non perde un istante per lavare la sua immagine dall’ennesima onta: essere fonte di ispirazione per gli attentatori neozelndesi che in poche ore hanno sterminato 49 persone in preghiera in due diverse moschee. Il nome di Traini, infatti, era inciso sui caricatori delle armi usate per la strage e citato nel manifesto pubblicato online da Brenton Tarrant, ventottenne australiano, mente e protagonista dell’operazione. «Un bianco ordinario», si è definito con semplicità disarmante l’esecutore della mattanza, creando un altro parallelismo con il “lupo” di Macerata, dalla cui storia è partito Ezio Mauro per scrivere L’uomo bianco, un libro inchiesta sull’Italia dell’indifferenza e dell’egoismo.

Ma chi è Luca Traini, l’ispiratore di un bagno di sangue in Nuova Zelanda che nel febbraio dello scorso anno si mette a sparare a caso sui «negri» ( ferendo sei persone) per le vie di Macerata per “vendicare” il brutale omicidio della giovane Pamela Mastropietro? Oggi pentito del suo gesto, gli italiani lo conoscono per la prima volta il 3 febbraio del 2018 attraverso le immagini, diffuse quasi in diretta, della sua cattura. Prima di consegnarsi alle forze dell’ordine avvolto in un tricolore a mo’ di mantello, come uno sgangherato supereroe sguaiato che si accanisce sui passanti, Traini fa il saluto romano. Simbolo di Terza Posizione, il movimento neo fascista degli anni 70 e 80, sulla tempia, il pistolero di Macerata tenta di uccidere mosso da un patriottismo alla bar dello sport, quello secondo cui gli immigrati vengono in Italia solo per spacciare e alloggiare in alberghi lussuosi pagati dai contribuenti italiani. Luca Traini, che nel 2017 si candida con la Lega Nord al consiglio comunale di Corridonia, paese di 15mila abitanti nel maceratese, si sente in dovere di fare qualcosa. Sale a bordo della sua auto e apre il fuoco su qualsiasi passante nero. «Io volevo colpire chi spaccia, come quello che ha venduto la droga a Pamela. Non è colpa mia poi se a Macerata tutti gli spacciatori sono neri», dirà nel corso di uno dei primi interrogatori.

Ma il tempo può cambiare anche gli animi più duri. E a un anno di distanza, Traini non si sente più vicino all’uomo che nel 2018 provò ad ammazzare gente a caso. «Dentro di me non c'è più odio, sono pentito e non da oggi», racconta il 3 febbraio del 2019 a Repubblica.

Pentito e pronto a incontrare le sue vittime per chiedere scusa, per l’ex estremista di destra «la caccia è finita quel giorno. Già quando sono tornato a casa dopo la sparatoria, per cercare la bandiera tricolore, mi sono sentito svuotato, esaurito. Tutto si era compiuto. Ma se sei lupo, lo rimani per sempre», confida a Ezio Mauro che lo intervista. Perché Traini si percepiva semplicemente come un «vendicatore», mosso da «un'esplosione», dice. «Per me gli spacciatori avevano ucciso Pamela, e gli spacciatori erano loro, i negri. Li chiamavo così. Oggi li chiamo neri. Poi, in questi mesi passati in carcere, ho lentamente capito che gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani e stranieri. La pelle non conta. Qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro», aggiunge, puntando il dito contro la cultura politica che lo ha nutrito. «Tutta la mia ideologia politica, Dio, patria, famiglia, onore, ha pesato in quel mix esplosivo. La tragedia di Pamela ha fatto da innesco. L'odio non nasce per caso, è frutto di tante cose, anche di politiche errate, a danno sia degli italiani che degli immigrati», è il “testamento” che Traini vorrebbe consegnare alle sue vittime.

Per ora, però, l’unico testamento raccolto è quello di Brenton Tarrant, quasi coetaneo dell’ex candidato leghista, che ha inteso rendergli omaggio incidendo il suo nome su un’altra arma “vendicatrice” di bianchi.

«L'accostamento tra la vicenda di Luca Traini e quello che sta accadendo in queste ore in Nuova Zelanda mi sembra fuori luogo, non vedo un nesso se non il riferimento a un'ideologia di destra», precisa Giancarlo Giulianelli, avvocato di Traini. Che dovrà ancora lavorare parecchio per liberare il suo assistito dall’inquietante marchio di un «bianco qualunque», ispiratore di nuove stragi.