L’accusa da sinistra di essere un pericoloso fascista, a causa del suo innamoramento giovanile per la monarchia, sembra ereditata dalla sua famiglia di militari (lui stesso è stato ufficiale dell’Aeronautica), Antonio Tajani se la porta appresso fin dagli anni di Liceo. Era il Tasso di Roma, dal quale poi si trasferì in uno più tranquillo, perché veniva sempre aggredito da frange di estremisti di sinistra. Non c’erano ovviamente tra gli aggressori compagni di scuola come il suo amico di una vita Maurizio Gasparri, ma neppure Paolo Gentiloni o Lucrezia Reichlin di sinistra, magari non moderatissima allora, ma con i quali, come lo stesso Tajani ha detto a Il Dubbio in un’intervista del luglio scorso, «almeno si poteva dialogare».

Anni ’ 70, scontri a sangue tra rossi e neri. Ma quell’accusa ha continuato a inseguirlo, quasi come un’ombra, anche in epoche più vicine. Era il 21 dicembre del 1994, il giorno dopo Silvio Berlusconi, di cui Tajani fu a Palazzo Chigi il primo portavoce, sarebbe andato alle 13 da Oscar Luigi Scalfaro a dimettersi. Ma quella mattina segnò la caduta del Cav e con lui degli “dei” azzurri. Quel suo primo portavoce non era neppure deputato, seppur cofondatore, insieme con Gianni Letta, Marcello Dell’Utri e pochi altri di Forza Italia.

Usciva dalla scuola del Giornale di Indro Montanelli. E come portavoce- giornalista, perché lui deputato non lo era e anzi non lo è mai stato e non era ancora nemmeno eurodeputato, con atteggiamento ben educato, come quei compagni di scuola che negli anni ’ 70 al Liceo venivano giudicati da chi era di sinistra di stile un po’ troppo grigio- borghese, si mescolò agli altri cronisti nella tribuna stampa. Riprese l’ascensore con loro, al termine della seduta. Ma a quel punto, una collega di sinistra abbastanza radicale che era nello stesso ascensore del malcapitato non si tenne più. E gli urlò in faccia: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne».

Chissà se avrebbe fatto la stessa cosa magari qualche mese prima quando di sera per chiudere il pezzo era d’obbligo, come ora, sentire il portavoce del premier. Tajani rispose, adottando un ferreo autocontrollo un po’ militaresco, con un glaciale silenzio di fronte a quella piccola aggressione.

L’Unità, allora diretta da Walter Veltroni, di cui chi scrive era allora inviato di politica, era ad esempio uno dei giornali che il portavoce di quel premier avversario politico richiamava tra i primi. Ma più forse per buona educazione anche politica che, come tutti i portavoce, per dare notizie.

È stato educato anche alla scuola di Gianni Letta, il portasilenzi per eccellenza. Letta, il grande diplomatico, comunque uno “smoderato” non lo avrebbe mai sostenuto come stretto collaboratore del Cav, fino a diventare numero due di Fi, perché Tajani con il Cav si è sempre comportato come un soldato, non come altri più ribelli pretendenti al “trono” di Arcore.

Ora chissà “l’eminenza azzurrina” Letta, il cui invito perenne con il mondo è di “mantenere comportamenti armonici”, forse di fronte alla bufera abbattutasi anche al parlamento europeo su Tajani dopo le dichiarazioni su Mussolini, starà pensando tra sé e sé secondo una sua frase di rito per sdrammatizzare eventi sgradevoli: «Così vanno le cose del mondo…».

Ma non solo “il dottor Letta”, anche la stessa cancelliera Angela Merkel in questi anni di uno “smoderato” non sarebbe diventata amica fino al punto di ritessere attraverso di lui la trama dei rapporti con Berlusconi che al parlamento europeo una volta eletto si accinge a fare da federatore tra Ppe e sovranisti, nell’intento con lo stesso Tajani - che corre con lui alle Europee con l’obiettivo di tornare sullo scranno più alto dell’Europarlamento - di mettere un argine al rischio di una deriva antieuropeista.

Da qui certe interpretazioni dei maligni, secondo le quali quelle dichiarazioni su Mussolini sarebbero volte a ingraziarsi partiti nazionalisti. Ma questi sono solo gossip che viaggiano sul web sul quale Tajani è stato sottoposto a una sorta di lapidazione, che ha unito la sinistra più radicale ai Cinque Stelle. Ma cosa ha detto, magari con l’eccessiva velocità della comunicazione alla radio, poi supportata da internet, di così micidiale? Un po’ le stesse cose del Cav alcuni anni fa. Anche allora ci fu una buriana. Che Mussolini avesse impiantato la prima vera forma di welfare Bettino Craxi lo ha detto anche alla sottoscritta nel libro “I Conti con Craxi” ( Male edizioni di Monica Macchioni). Proprio Craxi, figlio di un avvocato prefetto antifascista. Quello stesso Craxi che ammise il Msi per la prima volta alle consultazioni nel 1983 e che Tajani (la più alta carica istituzionale ad averlo fatto finora, guida dell’unica istituzione elettiva della Ue) un paio di anni fa andò ad omaggiare sulla tomba di Hammamet. Il presidente del PE riconobbe coraggiosamente che quello dello statista socialista fu «un immeritato esilio».

Donato Robilotta, socialista craxiano di ferro, oggi alla guida nel Lazio di Energie per l’Italia di Stefano Parisi, anche lui al Tasso con Tajani, a Il Dubbio dice: «Tajani ha detto quello che tutti pensano. Ma qui ormai sta prevalendo solo l’odio, in questo Paese non si ragiona più, non si studia». Ed essendo amico di Tajani rivela: «Monarchico certo in gioventù, ma guardate che si avvicinò anche ai socialisti, all’ala destra quella di Lagorio». Sostiene con Il Dubbio Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, vicepresidente della commissione Esteri, figlia di “Bettino” e fondatrice della omonima Fondazione: «Trovo davvero sorprendente che l’Italia a 70 anni di distanza non sia ancora capace di confrontarsi serenamente su quel periodo storico. Bettino Craxi disse: è ora di chiudere una pagina della nostra Storia, andiamo a piazzale Loreto a depositare dei garofani dove ci fu quell’orrenda barbarie e depositiamo dei fiori sempre a piazzale Loreto dove furono uccisi 15 partigiani socialisti. Craxi disse che era ora di farlo ormai 30 anni fa».