«È da irresponsabili mettere in discussione il governo su un passaggio marginale ma coerente con il contratto di governo». Se la Lega fa la voce grossa, minacciando la crisi sulla Tav, Luigi Di Maio, «interdetto» dall’ostilità dell’alleato, non vuol essere da meno e replica con stizza alle parole poco «serie» del socio di governo. E il sottosegretario 5Stelle, Buffagni è ancora più esplicito: «Non c'è da aprire la crisi, è già aperta».

Perché in ballo non c’è solo un buco in una montagna, ma il rispetto di un patto scritto e firmato da due leader politici prima di unire le forze parlamentari per formare una maggioranza. «Qui parliamo di un punto del contratto di governo: io sono leale al contratto e chiedo lealtà», sottolinea il ministro del Lavoro, prima di rivolgersi direttamente ai sostenitori del Carroccio.

«Lo dico anche agli elettori della Lega: cosa sarebbe accaduto se avessimo messo in discussione la Legittima difesa o altri provvedimenti che, al momento della stesura del contratto, sono entrati in quota Lega?», chiede Di Maio, nella speranza di suscitare la comprensione dei cittadini. «Vi sareste arrabbiati», risponde, «ed è per questo che c’è disappunto nel Movimento. Perché noi ci siamo battuti per questo tema nel contratto, ma non si può mettere a rischio il governo per un punto che è nel contratto». Tradotto: il Movimento ha messo in discussione persino i propri capisaldi in materia di giustizia per tutelare l’alleato Salvini sull’affaire Diciotti, non si può chiedere ai grillini di rinunciare pure a una bandiera storica come il No alla Tav. Non lo perdonerebbero i militanti e non lo perdonerebbe soprattutto il fondatore Beppe Grillo che per fermare i cantieri dell’alta velocità si è fatto persino processare in passato.

Di Maio sa che sulla Tav nessun compromesso sarebbe accettato dai suoi e invita l’alleato a non tirare troppo la corda. Perché il rischio che alla fine si spezzi non è affatto campato in aria. «Non si può mettere a rischio un governo e quindi mettere a rischio importanti provvedimenti come quello su Quota 100 e il reddito di cittadinanza, mettere a rischio la legittima difesa, mettere a rischio il processo in corso per cui risarcire i truffati delle banche», ammonisce quindi il capo politico pentastellato. «Ci sono decreti attuativi importantissimi che devono essere approvati. Sono motivi di preoccupazione».

Non è una gara a chi ha «la testa più dura», rimarca il vice premier, utilizzando le stesse parole pronunciate da Salvini il giorno precedente. «Questi sono discorsi da bambini: dobbiamo metterci al tavolo ed evitare di vincolare soldi degli italiani», continua Di Maio, spazientito dall’atteggiamento dell’altro vice premier che in mattinata aveva pure rinviato ogni discussione sulla Tav a lunedì. «Non mi si può dire che ci rivediamo lunedì, questo è un fine settimana di lavoro per portare a casa gli obiettivi del governo», perde le staffe il leader grillino. Anche perché il primo giorno della prossima settimana scadranno i bandi della Telt, la società italo francese che dovrebbe realizzare e gestire la Tav. «È chiaro ed evidente che se stai per ridiscutere un’opera non puoi vincolare i soldi degli italiani», ricorda Di Maio agli alleati leghisti. «Se parliamo dei soldi degli italiani da investire per un’opera in cui ci si dice che sono più costi che i benefici allora prima ridiscuti l’opera e poi vincoli soldi», sottolinea il capo politico M5S. Che per dimostrare il proprio approccio non ideologico, chiama in causa l’analisi costi benefici, commissionata proprio per avere nuovi elementi tecnici da aggiungere alla discussione. «Non è stata una volontà ideologica, non siamo contro l’Alta velocità o il trasporto su rotaia. E l’analisi di esperti ha confermato che questa opera non stava in piedi. Per noi già all’epoca del contratto non stava in piedi. Non sarà comunque conveniente prendere merci e metterle sul treno». E pazienza se la società presieduta dal professor Ponti, il capo dei tecnici a cui il ministro Danilo Toninelli ha affidato la compilazione del dossier Tav, l’anno scorso fosse giunta a conclusioni opposte in uno studio commissionato dall’Unione europea: «Quando su tre, due la pensano in un modo, io e Conte, poi non decide solo uno, altrimenti avremo problemi in futuro», insiste il capo del Movimento.

Ma dal Carroccio non sembrano disposti ad assecondare le esigenze dell’alleato, nonostante il contratto di governo. Perché onorare il punto 26 del patto sottoscritto a giugno significherebbe perdere la fiducia di una parte consistente di elettorato del Nord.

La stessa leadership di Salvini uscirebbe ammaccata dalla rinuncia all’alta velocità.