È forse la più efficace realizzazione dell’alleanza fra avvocati, commercialisti e notai, sancita un anno fa attraverso la nascita dell’associazione “Economisti e giuristi insieme”. I presidenti dei Consigli nazionali delle tre professioni, rispettivamente Andrea Mascherin, Massimo Miani e Salvatore Lombardo, hanno inviato ieri una lettera al ministro dell’Economia Giovanni Tria per sollecitare il rispetto delle norme sull’equo compenso da parte di via XX Settembre. Un passaggio dal valore chiaramente politico, che conduce al punto di caduta decisivo il rapporto tra libere professioni e pubblica amministrazione.

L’ oggetto specifico della contestazione rivolta al Mef è un bando, pubblicato dalla IV direzione del Tesoro, rivolto a professionisti in materie giuridiche, per consulenze su «tematiche complesse» ma segnato da una caratteristica definita «non

concepibile» dai tre presidenti: gli incarichi sono «a titolo gratuito».

Più precisamente, il ministero promuove una ” gara” per l’assegnazione di «incarichi biennali di consulenza» riguardanti «tematiche complesse attinenti al diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario e/ o dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento alle direttive/ regolamenti comunitari».

Ma via XX Settembre attiva appunto tale ricerca di consulenze senza prevedere alcuna retribuzione per i professionisti a cui saranno assegnate. Come ricordano Mascherin, Miani e Lombardo nella loro lettera, si chiedono prestazioni relative a «tematiche economico- giuridiche particolarmente complesse, per le quali è necessaria significativa competenza e professionalità, come per altro confermato dai requisiti richiesti». Eppure tali consulenze vengono chieste dietro compenso pari a zero. Il che, fanno notare i tre presidenti «viola palesemente la norma sull’equo compenso».

Di fatto si tratta di un’occasione che potrebbe rivelarsi determinante rispetto alla effettiva e puntuale applicazione di quella legge. Una disciplina approvata oltre un anno fa in Parlamento a tutela della dignità del lavoro professionale. Grazie a quel provvedimento, ricordano ancora i vertici di Cnf, Cndcec e Consiglio del Notariato, «è finalmente entrato in vigore il principio dell’equo compenso, in forza del quale è fatto preciso obbligo ad una serie di “contraenti forti” ( tra cui le Pubbliche Amministrazioni) di garantire al professionista incaricato un compenso commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro richiesto ed effettivamente svolto». Il «principio» espressamente richiamato da quell’intervento del legislatore, ha trovato finora traduzione in diverse leggi regionali, che ne hanno imposto il rispetto sia alle proprie articolazioni interne che alle loro partecipate: è avvenuto innanzitutto in Toscana, quindi in Calabria, Puglia e Sicilia, con il Lazio che a breve dovrebbe varare la propria disciplina.

L’amministrazione centrale dello Stato finora non ha trovato forme applicative altrettanto dettagliate. Ma proprio la lettera a Tria sul bando del Mef potrebbe innescare uno scatto in avanti da questo punto di vista. Lo si può dedurre da alcuni aspetti. Innanzitutto dal fatto che il caso contestato da avvocati, commercialisti e notai deriva dal contrasto fra le norme sulla “spending review” e la legge sull’equo compenso. I tre presidenti assicurano il ministro dell’Economia di essere «ben consapevoli che l’articolo 6 comma 7 del decreto 78/ 2010 ha imposto a tutte le pubbliche amministrazioni limiti stringenti di spesa annua per studi e incarichi di consulenza». Tetto che d’altra parte diventa paradossale nel caso del Mef, giacché la spesa per incarichi esterni sostenuta in quell’anno di riferimento «era pari a zero», ricordano ancora Mascherin, Miani e Lombardo: un combinato disposto che si è tradotto «nella impossibilità di affidare incarichi a pagamento». Ma, rilevano i presidenti di Cnf, Cndcec e Consiglio del Notariato, «ci pare che la IV direzione del Tesoro non sia altrettanto consapevole» dell’entrata in vigore del «principio dell’equo compenso». Poiché «non è concepibile che l’osservanza di una previsione di legge che attiene al contenimento della spesa pubblica venga assicurata attraverso la palese violazione di altra norma di legge che attiene al rispetto della dignità del lavoro», i vertici di avvocati, commercialisti e notai chiedono a Tria di «intervenire presso la direzione interessata affinché ritiri subitaneamente il bando» e di «dare istruzioni a tutte le articolazioni del ministero affinché simili episodi non abbiano a ripetersi».

Nella lettera, resa pubblica con un comunicato stampa congiunto, i tre presidenti spiegano di essere «i primi a ritenere» che il ministero «debba essere messo nelle condizioni finanziarie di poter reperire qualificate competenze esterne». Inoltre segnalano che Cnf, Cndcec e Notariato «sono assolutamente disponibili a supportare l’attività della Pubblica Amministrazione attraverso le proprie strutture ed i propri centri studi», in una logica di «confronto e approfondimento di tematiche complesse senza nulla pretendere se non appunto il riconoscimento di questa disponibilità».

Quando però «si esce dalla dinamica istituzionale tra pubbliche amministrazioni e corpi intermedi per entrare in quella dell’affidamento di incarichi specifici a singoli professionisti che prestano la propria opera come qualsiasi altro lavoratore, non possiamo accettare», scrivono Mascherin, Miani e Lombardo, «che proprio le Pubbliche Amministrazioni sviliscano, aggirino e in definitiva violino quel principio di civiltà che è l’equo compenso». Al termine della lettera al ministro, i vertici di avvocati commercialisti e notai si dicono certi della «consapevolezza» dello stesso Tria «circa la pressante attesa di segnali e risposte chiare alla presente da parte di tutti i liberi professionisti italiani». Che è un modo per ribadire il profondo significato politico dell’iniziativa sull’equo compenso.