Lo scontro è duro. Molto. Forse mai visto quanto a intensità, almeno negli ultimi anni. Cinque consiglieri laici del Csm “censurano” il loro vicepresidente, David Ermini. «Deve evitare prese di posizione» rispetto a un «dibattito politico al quale l’organo di autogoverno deve rimanere estraneo», sostengono con una nota congiunta letta in plenum quattro componenti, ossia Emanuele Basile ( indicato dalla Lega), Filippo Donati ( proposto dal M5S), Michele Cerabona e Alessio Lanzi ( indicati da Forza Italia). Mente l’altro laico di area Lega, Stefano Cavanna sceglie una forma ancora più grave, una lettera al Capo dello Stato e presidente del Csm Sergio Mattarella, per manifestare «preoccupazione» sempre per le recenti parole di Ermini. Secondo Cavanna, il vicepresidente rischia di provocare una «abdicazione del ruolo costituzionale dell’organo di autogoverno, con inimmaginabili potenziali pregiudizi per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura» e «possibili ripercussioni sulla operatività del Consiglio stesso».

Sia i quattro laici che si sono mossi insieme sia il consigliere che si è rivolto al Colle si riferiscono all’intervento pronunciato sabato scorso dal vicepresidente del Csm al congresso di Magistratura democratica. Discorso in cui Ermini ha evocato «l’abisso della dittatura della maggioranza» verso cui «il processo democratico» potrebbe essere trascinato dal «populismo», capace di «scardinare le regole» e mettere in crisi «separazione dei poteri e indipendenza della magistratura». E com’è abbastanza chiaro, il grado assoluto della contrapposizione emersa ieri è proprio nel fatto che Ermini ritiene minacciata, dal clima generale sulla giustizia e da quella che definisce «mistica della legittimazione popolare», la stessa indipendenza delle toghe che viceversa, secondo parte del Csm, è a rischio proprio per le prese di posizione di Ermini.

Sabato scorso il vertice di Palazzo dei Marescialli aveva indicato nella «inclinazione di una classe dirigente populista che si autoproclama interprete della volontà popolare» il presupposto di un «diritto da applicare assecondando un supposto comune sentimento del popolo». Secondo la nota congiunta letta ieri in apertura di plenum dal laico Alessio Lanzi, «le affermazioni di Ermini sono state interpretate dai media come un chiaro attacco di stampo politico». E certo, è difficile non leggere dietro l’intervento di Ermini al congresso di Md un riferimento ad alcune leggi da poco approvate - dalla “spazza corrotti” al decreto sicurezza di Salvini.

Le posizioni sono inconciliabili. Vorrà dire che si apre un’inedita “crisi istituzionale” a Palazzo dei Marescialli? Ecco, questo al momento appare assai poco probabile. Innanzitutto perché le pesanti critiche rivolte, in modo disgiunto, dai cinque consiglieri, non hanno suscitato l’adesione dei togati, che costituiscono pur sempre l’amplissima maggioranza in plenum ( 16 contro 8 senza considerare primo presidente e procuratore generale della Cassazione). Oltretutto, va ricordato che Ermini è stato indicato vicepresidente proprio grazie alla convergenza delle due correnti più rappresentate in questa consiliatura: Magistratura indipendente e Unicost, dieci consiglieri in tutto. A loro si sono aggiunti, oltre allo stesso Ermini, anche i due vertici della Suprema corte, Giovanni Mammone e Riccardo Fuzio. Il paradosso è che a questo punto Ermini potrebbe trovare dalla propria parte anche i quattro togati della corrente Area, che lo scorso 27 settembre scelse invece l’altro candidato alla vicepresidenza, il laico Alberto Maria Benedetti, eletto al Csm su proposta dei cinquestelle. Area è il raggruppamento di cui fa parte la stessa Md, che sabato ha accolto con soddisfazione l’intervento di Ermini.

Casomai i fatti di ieri preannunciano un Csm dal clima alquanto “vivace”. Ci sono in ogni caso tutti i presupposti perché l’attuale consiliatura di Palazzo dei Marescialli diventi una proiezione dei contrasti da tempo aperti sulla giustizia anche in Parlamento. Le critiche a Ermini potrebbero essere un passaggio che ne preannuncia altri di segno analogo, tanto più che dal vicepresidente non sembrano giungere segnali di volersi adattare a un tono pubblico più dimesso. Inoltre la presa di posizione dei laici pare indebolita dalla scelta di Cavanna di procedere per conto proprio, in dissenso dalla dichiarazione con cui gli altri quattro consiglieri hanno voluto, a suo giudizio, «entrare nel merito» delle dichiarazioni di Ermini, errore giacché in tal modo il Csm finisce «dilaniato dalla polemica politica».

Andrà valutata la risposta che eventualmente arriverà dal Colle alla lettera di Cavanna. Certo è che sembra ripetersi quanto già si è verificato all’epoca dell’elezione di Ermini. Rivendicata da Mi e Unicost come affermazione di autonomia e indipendenza ma letta dal guardasigilli Alfonso Bonafede in senso esattamente contrario, ossia come forma di “politicizzazione” del Consiglio superiore. Tra Ermini e parte del plenum si è riaperta proprio quella stessa dialettica: lui legge l’interventismo come difesa della magistratura, i laici sostengono che così la si mette a rischio. Una distanza che si trascinerà probabilmente per l’intero quadriennio.