Li chiamano “baby- jihadisti”, alcuni sono poco più che dei bambini, molti sono finiti dentro sulla base di semplici sospetti, senza lo straccio di una prova, anche se la prova che ora stanno affrontando è tra più dura che si possano immaginare.

«Le autorità irachene e del governo regionale del Kurdistan iracheno hanno incriminato migliaia di minori per terrorismo per presunti legami con il sedicente Stato islamico (Is)». È la denuncia che arriva da Human Rights Watch. Secondo l’organizzazione, alla fine dello scorso anno le autorità irachene e curde trattenevano circa 1.500 minori per presunti legami con il gruppo del sedicente Califfo Abu Bakr al- Baghdadi.

La ong statunitense cita dati del governo iracheno e afferma che dall’inizio dell’anno «almeno 185 bambini stranieri» sono stati incriminati per terrorismo e condannati a pene detentive. I minori, afferma l’organizzazione che ha diffuso un nuovo rapporto, sono spesso vittima di arresti arbitrari e costretti a confessioni estorte sotto tortura. Hrw chiede al governo di Baghdad e al governo regionale del Kurdistan «modifiche immediate alle leggi anti- terrorismo» per porre fine a questi arresti, che costituiscono una violazione del diritto internazionale. Sinora non ci sono commenti da Baghdad ed Erbil.

L’organizzazione accusa le autorità locali di «arrestare spesso bambini per qualsiasi percepito legame con l’Isis, di usare la tortura per estorcere confessioni e condannare» i sospetti «in processi sommari e del tutto iniqui». «Questo approccio indiscriminato e punitivo non è giustizia e avrà per tutta la vita conseguenze negative per molti di questi bambini», ha denunciato Joe Becker di Hrw. L’organizzazione afferma di aver parlato lo scorso novembre con 29 minori trattenuti dalle autorità curde per presunti legami con le milizie dello Stato islamico. In 19, riferisce, hanno denunciato di essere stati torturati.

Sempre secondo il rapporto di Hrw, molti dei minori intervistati hanno riferito di essere uniti all’Isis per necessità economiche, per pressioni ricevute dalla famiglia, per fuggire da situazioni di difficoltà, molti perché costretti con la forza. «Per i bambini coinvolti nei conflitti armati ci sono la riabilitazione e il reintegro - ha concluso Becker - non torture e carcere».