Il Movimento 5 Stelle sarà pure «vivo e vegeto», come ripetono ai piani alti del partito, ma la leadership di Luigi Di Maio appare quantomeno pallidina. La disfatta sarda, dopo quella abruzzese, mette infatti in discussione le doti politiche del capo, alla vigilia di altri delicatissimi appuntamenti elettorali: Regionali in Basilicata del 24 marzo, le elezioni in Piemonte e le Europee del 26 maggio. In poco meno di un anno i grillini hanno perso per strada smalto e consenso, a vantaggio dell'alleato di governo, Matteo Salvini, percepito dagli elettori come il vero artefice del “cambiamento” targato Conte. Colpa della remissività di Di Maio nei confronti del segretario del Carroccio, salvato persino da un processo, accusano gli oppositori interni. E se prima il dissenso veniva pronunciato a mezza bocca o si concretizzava in “rappresaglie” in Aula, dopo il capitombolo sardo qualcuno individua pubblicamente il problema principale del Movimento 5 Stelle: il capo politico. «La leadership di Luigi Di Maio certamente va rimessa in discussione», dice senza mezzi termini la senatrice “ortodossa” Paola Nugnes, da tempo in rotta di collisione con la linea decisa dai vertici del partito. «Se ora, oltre i sondaggi, abbiamo anche verificato con elezioni regionali, che per quanto di altro livello, ci danno il polso di una indubbia e incontestabile perdita di consensi, credo che andrebbe rimessa la palla al centro», spiega Nugnes, convinta che una riorganizzazione del M5S «calata dall’alto» non possa essere la soluzione. Eppure, quella della riorganizzazione, è l’idea che da settimane ronza nella testa del ministro del Lavoro. Che a breve, tra oggi e domani, comunicherà «novità importanti per il Movimento», annuncia Di Maio.

Apertura alle coalizioni, creazione di una struttura dirigenziale, rivisitazione del vincolo dei due mandati. Sono questi i cambiamenti che il vice premier vorrà sottoporre al parere degli iscritti, nella speranza di dare una forma al partito liquido nato sul web e renderlo competitivo anche a livello locale. «Inizieremo in maniera sperimentale il discorso sull’eventuale rapporto con le liste civiche», fa sapere il capo politico. «Vere però», precisa, ricordando probabilmente le parole pronunciate solo pochi istanti prima sul voto sardo: «Spero che per la Sardegna possa cambiare qualcosa, ma se governano queste ammucchiate la vedo difficile», aveva sentenziato il leader pentastellato. Perché le scelte del Movimento 5 Stelle non sono mai paragonabili a quelle degli altri partiti, almeno secondo quanto assicurano i dirigenti grillini. Così se Renzi e Berlusconi facevano l’inciucio, Di Maio e Salvini sono sottoscrittori di un contratto; e se a livello locale centrodestra e centrosinistra fanno ammucchiate con una selva di liste civetta, il M5S si alleerà solo con liste civiche «vere». Non fanno eccezione le riorganizzazioni politiche: quella del Movimento «servirà agli italiani perché noi siamo al governo e abbiamo decine di istanze che arrivano dal territorio nazionale», spiega ancora il ministro del Lavoro, guardando con fiducia al futuro.

Già, perché la battuta d’arresto sarda non è poi questa tragedia per Di Maio, capace di guardare al bicchiere mezzo pieno: «Per la prima volta nella storia della regione Sardegna, entriamo con diversi consiglieri regionali. Questo è per noi un dato importante perché lì non c’eravamo, eravamo a zero a livello regionale», dice con serenità. Tutto sotto controllo, dunque. «Io non vedo nessun problema, per il governo non cambia niente: è al lavoro sui dossier più importanti».

I problemi però li vedono i dissidenti, soprattutto i preziosissimi senatori, difficili da espellere, visti i numeri risicati a Palazzo Madama. E a chi ha il coraggio di chiedere pubblicamente “la testa” del capo, risponde l’onorevole Sergio Battelli, presidente M5S della commissione Politiche Ue di Montecitorio. «Leggo che la collega Nugnes vorrebbe mettere in discussione la leadership di Luigi Di Maio», scrive su Twitter. «Un consiglio: affronti e sfati la profezia di Fassino: si candidi lei per guidare il M5S. Non abbiamo bisogno di picconatori ma di visione e proposte».

A giudicare da come andò a Fassino che disse a Grillo «se vuol fare politica fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende» - una cosa è certa: il genovese Battelli non “soffre” di scaramanzia. Il campano Di Maio può tirare un sospiro di sollievo, nel giorno in cui il suo partito si classifica al quarto posto sull’isola: meno del 10 per cento, dietro al Pd, alla Lega e al Partito sardo d’azione.