«È davvero eclatante che, dei grandi paesi, l’Italia sia l’unico a non aver preso posizione sul Venezuela». Margherita Boniver, ex ministro per gli Italiani all’estero del governo Andreotti e sottosegretario del ministero degli Esteri del governo Berlusconi e presidente della Fondazione Craxi, analizza la politica internazionale del governo gialloverde con grande perplessità, «frutto delle profonde divisioni interne dell’esecutivo, che ne hanno minato la credibilità internazionale» . Partiamo dalla situazione del paese sudamericano. Il dato più eclatante è quello economico. il Venezuela ha le più vaste riserve di petrolio al mondo, ma il paese è ridotto alla fame nera a causa dell’incompetenza e della corruzione con la quale è stato guidato, soprattutto dal presidente Maduro. Il disastro economico andava avanti da tempo, ora siamo arrivati a un punto di svolta. La sconfessione dell’elezione presidenziale di Maduro? E’ stato universalmente riconosciuto che Maduro abbia vinto le elezioni in modo fraudolento e proprio su questo le opposizioni hanno trovato un punto di condivisione, eleggendo il giovane Juan Guaidó, in base ad una previsione della Costituzione venezuelana. Ovvero? Secondo la loro Costituzione, nel caso di impedimento o di vacanza della presidenza, la seconda carica dello Stato, ovvero il presidente dell’Assemblea, può venire eletto presidente. Così ha fatto Gauidò, con una mossa evidentemente concordata con gli Usa, visto che Donald Trump è subito corso riconoscerlo, trascinando con sè anche paesi non trumpiano, come il Canada, la Colombia e il Brasile. I grandi paesi europei come la Francia, la Germania, la Spagna e l’Olanda, invece, hanno dato un ultimatum a Maduro che scadrà sabato, poi riconosceranno anche loro Guaidò. L’Italia, invece, ancora non ha preso posizione. Un’assenza a mio parere assolutamente paradossale. E’ incredibile che il governo italiano non si sia ancora espresso, vista soprattutto la nutritissima comunità italo- venezuelana presente in Venezuela. Qualsiasi altro governo avrebbe considerato doveroso schierarsi subito con Guaidò, se non altro per tutelare la nostra comunità in Venezuela, viste le disastrose situazioni in cui versa il Paese. Invece? Invece si sta consumando uno dei tanti paradossi della nostra politi ca internazionale, con un governo che ha espresso tre linee divergenti: quella madurista sposata dal terzomondista Alessandro Di Battista, quella del “nè di qua, nè di là” del premier Conte e poi quella - corretta dal mio punto di vista - del ministro Salvini di stare con Guaidò. Manca però la quarta linea: quella che è nell’interesse nazionale dell’Italia dare una mano ai nostri connazionali che si trovano in Venezuela. Come spiega questo silenzio italiano? Con le profonde divisioni che lacerano il governo su molti temi, che da subito hanno minato la credibilità internazionale del nostro esecutivo. I grillini sono a favore del dittatore Maduro, guidati da subcomandante terzomondista e filocubano Di Battista, i leghisti no. E il risultato è zero. Prevede una escalation di violenza? Il dato più terrificante è che i 3 milioni di venezuelani hanno già lasciato il paese: il maggiore esodo della storia dell’America Latina. Poi, le sanzioni petrolifere appena approvate dagli Usa daranno il colpo di grazia, per accelerare la fuoriuscita di Maduro, sperando che il paese non precipiti in una sorta di guerra civile. Certo è che la popolazione sta soffrendo in modo indicibile, con la maggioranza ridotta alla fame e piegata dall’inflazione. Maduro cederà il passo senza lottare, secondo lei? Me lo auguro. Io sono della scuola di pensiero che ai dittatori vadano fatti ponti d’oro, in modo da farli andare via il primo possibile. I segnali di una sua resa, tuttavia, sono ancora molto deboli: i suoi migliori alleati sono i cubani, bisogna vedere fino a quando L’Avana sarà disposta a rischiare l’appoggio a un governo che sembra arrivato alla fine. Altra variabile, poi, sono i militari: fino a che Maduro avrà l’esercito a suo fianco, riuscirà a sopravvivere. Altro fronte caldo a livello internazionale è l’annunciato ritiro dall’Afghanistan. Un fronte che potrà creare problemi al governo? Sicuramente è un fronte che si è aperto all’improvviso e non c’è stata grande concertazione tra gli Usa e gli alleati. E’ evidente che Trump voglia il ritiro al più presto possibile, come dalla Siria. Le sue decisioni non sono sempre perfettamente logiche, ma questa avrà importanti ripercussioni. L’Italia cosa farà? Siamo in Afghanistan da 17 anni ma, da ciò che sembra di capire, il ministro Moavero ha dichiarato che l’Italia è pronta a ritirarsi, pur chiarendo che il tema andrà dibattuto in Parlamento, per fortuna. Credo che il risultato sarà un ritiro del nostro contingente, nel modo più ordinato possibile. E’ anche la mossa più auspicabile? In Afghanistan, l’Italia è stata estremamente generosa e ha fatto cose straordinarie. Speriamo che questa decisione improvvisa non provochi una caduta rovinosa del governo locale. I segnali non sono incoraggianti, purtroppo: già il fatto che le elezioni siano state rimandate è molto negativo. Quali rischi comporta il ritiro? L’Italia è responsabile della sicurezza di una parte enorme del Paese. Se anche italiani se ne andranno, non ci vuole la palla di vetro per capire che si tornerà all’anno zero e tutto quello che è stato costruito, con fatica e investimenti da parte dei paesi presenti, rischia di svanire velocemente. D’altro canto, tuttavia, è nell’ordine delle cose che, dopo 17 anni di presenza di truppe internazionali, si facciano i conti con un bilancio finale della missione. Veniamo all’ultimo fronte aperto a livello internazionale: il Mediterraneo. Trovo che la situazione della Sea-Watch sia un paradosso. La situazione di questo microscopico gruppo di migranti si sta trascinando penosamente da troppo tempo e ha dimostrato l’indimostrabile: hanno tutti torto e tutti hanno ragione. In che senso? Si sono mosse le procure per quanto compete loro; il tribunale dei Ministri vuole processare Salvini; il tribunale dei minori vuol far scendere i ragazzi; i parlamentari stanno facendo il loro mestiere ed è difficile criticarli perchè esercitano il loro potere ispettivo; infine c’è la linea intransigente di Salvini, che è quella giusta ma si accoppia con toni eccessivamente muscolari. Il risultato qual è? Un dibattito assolutamente regressivo, sia sul piano politico che culturale. Spiace che l’ottimo lavoro fatto da Marco Minniti e il buon lavoro fatto da Matteo Salvini sia ridotto così: meritava un dibattito di tenore più alto. Perchè parla di buon lavoro? Perchè grazie al lavoro di questi due ministri le rotte marittime sono palesemente cambiate e la pressione migratoria si è molto ridotta. Io credo a chi dice che, ogni tanto, la Libia “apra i rubinetti”: lo faceva anche Gheddafi, quando voleva in qualche modo attirare la nostra attenzione. L’Italia deve lavorare perchè la politica di cooperazione col nuovo governo libico funzioni: il paese africano versa in una situazione difficile e, anche se non manda più in mare decine di migliaia di migranti, nulla è ancora stabilizzato. Come mai condivide la linea della fermezza di Salvini? Il ministro ha ragione da vendere quando mette sul tavolo europeo la volontà di cambiare le norme di ingaggio dell’operazione Sophia, creata dal governo Renzi che - pur di avere la leadership della missione militare paneuropea - aveva accettato che tutte le persone soccorse venissero portate in Italia. Salvini sta provando a cambiare le condizioni, ma non è facile. Ma i 47 migranti sulla SeaWatch dovrebbero sbarcare? Ma certo, io credo che anche il governo si sia accorto di aver tirato troppo la corda su un caso così microscopico. Queste persone galleggiano da 20 giorni nel Mediterraneo e l’Esecutivo deve cedere, almeno sul versante umanitario. Dopo averle tratte in salvo, però, un’analisi va fatta. A partire da quali considerazioni? A partire dal fatto che Salvini ha ragione quando dice che questi migranti sono stati inspiegabilmente portati verso le coste italiane e che, durante la tempesta, i porti sicuri erano quelli tunisini. Perchè non sono andati lì? Purtroppo, le vicende umanitarie e le ragioni politiche sono ormai intrecciate in un unico incomprensibile groviglio. Incomprensibile? Sì, perchè l’emergenza non c’è e non lo è certo la SeaWatch. Trovo pazzesco che il dibattito nazionale sia così concentrato e totalizzante su un’emergenza inesistente: oggettivamente l’Italia non si trova più ad affrontare i grandi numeri delle migrazioni di due anni fa. Per questo dico che siamo in piena regressione politica e culturale.