La vicenda della morte nel carcere di Salerno di un detenuto in sedia a rotelle affetto da gravi patologie mette in luce anche un altro aspetto sanitario del carcere. Ovvero la disabilità. La vita all’interno di un penitenziario non è facile, ma quella dei detenuti disabili è una vera e propria doppia pena a cui contribuiscono barriere architettoniche, mancanza di strutture in grado di accoglierli pienamente, carenza di operatori che li accompagnino nelle attività, fatica a usare i servizi igienici e a lavarsi come tutti gli altri, e strutture esterne in grado di fornire loro la necessaria assistenza in caso di concessione di misure alternative alla detenzione.

Secondo l’ultimo rapporto di Antigone, le persone detenute con disabilità fisica rappresentano la seconda rilevante criticità. Dalle visite di monitoraggio si è evinto l’assoluta inadeguatezza delle carceri italiane ad ospitare persone disabili. L’edilizia penitenziaria certamente non agevola, le barriere architettoniche e la mancanza di celle attrezzate che consentano la mobilità sono la regola, spesso occorre affidarsi alla solidarietà tra detenuti e con il personale. Appena il 30% delle carceri visitate ha spazi adeguati e pensati per accogliere detenuti disabili, negli altri casi la disabilità diventa l’ennesimo ostacolo ad una vita detentiva degna. Il diritto alla salute, teoricamente, dovrebbe prevalere sulla punizione carceraria. Eppure accade, non di rado, che il Tribunale di Sorveglianza respinge le istanze di scarcerazione, anche di fronte a condizioni cliniche oggettivamente gravi. E allora i detenuti disabili si ritrovano a dover scontare la propria condanna in condizioni precarie, aggravando la propria salute.

Per far fronte a questi problemi, e alle condanne della corte europea di Strasburgo che ha condannato l’Italia per ben quattro volte per problemi legati alle particolari esigenze dei detenuti con disabilità ( Sentenza Scoppola), il Dap aveva emanato una circolare nella quale detta le linee guida per riformare ed adeguare tutti gli istituti penitenziari in maniera tale da far rispettare i diritti delle persone con disabilità recluse.

Gli interventi migliorativi prevedevano l'abbattimento di barriere architettoniche, la realizzazione di percorsi e varchi per gli spostamenti verticali e orizzontali, adeguatamente dimensionati e attrezzati per garantire l'accessibilità ai locali frequentati da detenuti e/ o operatori disabili, nonché ambienti con servizi igienici dedicati e una camera di pernottamento adeguata per ogni circuito. Secondo quanto indicato dal Dap laddove non siano disponibili ambienti adeguatamente attrezzati, dovrà essere verificata la presenza di luoghi idonei alle esigenze del disabile nell'istituto più vicino, così garantendo anche il principio della territorialità della pena. Altra indicazione sono l’attuazione dei progetti di caregivers, ossia i corsi che vengono effettuati per dare le competenze ai detenuti per svolgere il ruolo di “badante” per i compagni di cella con problemi di disabilità fisica. Però rimane il dilemma di fondo: il carcere è un ambiente adatto per far espiare la pena a un disabile, oppure c’è la necessità di trovare una misura punitiva e rieducativa diversa?