di Glauco Giostra

Ho atteso che il tempo sgombrasse l’ incredula retina da quelle sequenze da avanspettacolo. Ma purtroppo continuano a rimanervi impresse. Ministri della Repubblica sgomitano trionfanti per ostentare lo scalpo di un criminale. Ministri della Repubblica che violano disinvoltamente norme del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Ministri della Repubblica che si cimentano in un’imbarazzante gara nell’esibire la divisa dei corpi di polizia appartenenti al loro dicastero.

Ministri della Repubblica che intendono la risposta dell’ordinamento al crimine come la soddisfatta vendetta dei vincitori. Si sono dovuti ascoltare accenti che sarebbero ben comprensibili se provenienti dalla vittima o da un suo familiare, ma che sono inammissibili per un rappresentante dello Stato. Ed invece proprio dalle vittime, il cui dolore giustificherebbe qualsiasi reazione, anche scomposta e vendicativa, viene spesso un esempio di dignità, di compostezza, di umanità che è la prima e più inappellabile sanzione per i loro aguzzini: perché marca una differenza abissale - non tra vincitori e vinti- ma tra coloro che hanno rispetto degli altri esseri umani e della loro vita e coloro non lo hanno.

Ciò che più interessa, tuttavia, non è biasimare l’infelice sceneggiata: c’è stato un confortante coro al riguardo, cui si sono meritevolmente unite anche persone politicamente vicine ai protagonisti della penosa messinscena. Ciò che interessa è sbugiardare inaccettabili giustificazioni “postume”.

Si dice che con l’ostentata soddisfazione si è inteso rimarcare il successo dello Stato; ma le fanfare dell’entusiasmo, semmai, ne sottolineano l’assoluta eccezionalità.

Si dice che sia stato un modo per riconoscere prestigio e meriti alle forze di polizia interessate dall’operazione.

Ma a loro dobbiamo riconoscenza e apprezzamento per ciò che con professionalità e sacrificio fanno quotidianamente al servizio della collettività, non certo per qualche selfie in maschera, che anzi ne mortifica l’altissima funzione. Alla Polizia penitenziaria, ad esempio, va la nostra profonda gratitudine per il delicatissimo, silenzioso, ingrato compito assolto nell’ombra umida e claustrofobica delle prigioni, non certo perché, sotto l’enfasi dei riflettori, si limita a prendere in consegna un condannato per gravissimi crimini.

A ragionare diversamente, dovremmo ritenere che la Guardia di finanza o l’Arma dei carabinieri, non gratificate da impavesate passarelle, siano meno meritevoli di apprezzamento. O supporre che gli altri ministri dell’attuale governo che operano con discrezione e sobrietà non siano soddisfatti e orgogliosi dei funzionari del proprio dicastero.

Chiamiamo una buona volta le cose con il loro nome: si è trattato di una strumentalizzazione in chiave autopromozionale di funzioni e divise che appartengono alla Stato, non certo al ministro pro tempore.

Strumentalizzazione condotta, oltretutto, con modalità pateticamente esibizionistiche. Sarà pur vero, come ammoniva Gobetti, che “in Italia la lotta tra il dannunzianesimo e la serietà è eterna”, ma è altrettanto amaramente certo che in questo periodo la lotta si è fatta impari.