Ventisei anni dopo l’arresto, 20 dopo la condanna, Cosimo Commisso, classe ’ 50, alias “u quagghjia”, non è più il mandante di quegli omicidi che gli erano costati l’ergastolo. Ora è libero Una sentenza clamorosa quella della Corte d’appello di Napoli, che, come riporta Gazzetta del Sud, ha annullato la condanna all’ergastolo pronunciata dalla Corte di assise d’appello di Reggio Calabria il 24 luglio 1998, diventata definitiva il 12 maggio 1999 «per non aver commesso il fatto». Commisso era ritenuto mandante di cinque omicidi e tre tentati omicidi tra il 1989 e il 1991, quando a Siderno, nel cuore della Locride, era in corso la sanguinosa faida tra i Commisso e i Costa.

Ogni omicidio, secondo la sentenza “Siderno Group”, «è stato realizzato in attuazione di un programma di eliminazione dei componenti il clan avversario, previa individuazione delle vittime e degli esecutori materiali da parte dei capi delle rispettive consorterie», ovvero Cosimo Commisso e Giuseppe Costa, leader del clan rivale e, oggi, collaboratore di giustizia.

Erano loro due, secondo le sentenze, i «capi delle rispettive organizzazioni» e avevano agito facendo prevalere «le motivazioni dell’odio su ogni barlume di umanità», perché, diceva Costa, «la guerra è guerra».

Un ruolo di vertice che, a Commisso era stato riconosciuto grazie anche alle dichiarazioni di numerosi pentiti - sette nel corso del processo e, più avanti, a condanna già avvenuta, anche da Costa - «i quali avevano ricostruito la linea di successione nel ruolo di capocosca dal 1975 in poi siccome attribuito, dopo l'uccisione di Antonio Macrì, dapprima a Francesco Commisso, quindi a Vincenzo Commisso» e poi al “quagghjia”.

All’assoluzione si è arrivati a seguito di due annullamenti con rinvio da parte della Cassazione. L’ennesimo ricorso in Cassazione ha portato Commisso davanti ai giudici di Napoli, dove i giudici hanno assolto Commisso, basandosi sulle nuove prove.

Fino al 1987 c’erano solo loro, i Commisso, al cui interno i Costa avevano operato, fino ad un certo punto, solo come affiliati, occupandosi del traffico di droga, il cui ricavato veniva reinvestito dai Commisso nel controllo degli appalti pubblici a Siderno.

Alcuni contrasti, però, minarono il rapporto tra le “famiglie”, fino allo scontro armato: i Commisso accusarono i Costa di aver intrapreso iniziative autonome.

Il casus belli fu rappresentato da un furto d’armi a casa di Cosimo Commisso, attribuito proprio ai rivali, che pagarono con la morte di Luciano Costa, fratello di Giuseppe, massacrato il 21 gennaio 1987. Quella morte comportò la rottura definitiva degli equilibri ed una successione vertiginosa di fatti di sangue. Lo scontro, però, si rivelò ben presto impari: pochi gli uomini dei Costa, un esercito quello dei Commisso, che hanno così decimato gli avversari, che hanno contato 26 morti su 34 omicidi complessivi.

La richiesta di revisione. Grazie ad un memoriale lungo 150 pagine, nel 2015, Commisso è riuscito ad ottenere la revisione del processo. «Non è seriamente sostenibile – si leggeva nella sentenza di condanna – che un delitto eccellente come quelli in questione fosse stato deliberato da persona collocata in posizione men che verticistica della gerarchia mafiosa del clan». In quanto capocosca, dunque, Commisso non poteva non sapere.

Ma le prove che le cose siano andate così, aveva stabilito la Cassazione pronunciandosi sulla revisione, vanno rintracciate con assoluta certezza.

Al “quagghjia” erano stati attribuiti il duplice omicidio di Giordano Donato e Massimiliano Costante, il tentato omicidio e l’omicidio di Giuliano Costa, i tentati omicidi di Giuseppe Costa e Gandolfo Cascio, e gli omicidi di Vincenzo Costa e Vincenzo Filippone. Inizialmente l’accusa gli aveva contestato 20 morti e 15 tentati omicidi che però, secondo Commisso e i suoi legali, potevano avere moventi diversi. Tra questi c’è l’omicidio del carabiniere- killer Giordano, trovato morto sulla Limina, assieme a Costante, il 17 luglio del 1991, quasi decapitato, su una Lancia Thema in fiamme.

Giordano, killer a pagamento della famiglia Costa, sarebbe morto per aver ucciso Luciano Commisso, fratello di un altro Cosimo Commisso, classe ’ 54, freddato sul lungomare di Siderno.

Nonostante il legame di parentela fosse blando, per i giudici Luciano e “u quagghjia” avevano un rapporto molto più intimo, motivo per cui poteva esser stato lui ad ordinare quella vendetta.

Ma Giordano era vicino anche al clan Cataldo di Locri, ritenuto alleato dei Costa, elemento, questo, che per i legali poteva inserire la sua morte in un altro possibile contesto di vendetta.