Quanta corruzione c'è in Italia? Parecchia, a sentire la maggioranza degli italiani. Ma se agli stessi cittadini chiedessimo di elencare casi concreti di corruzione a cui avrebbero assistito negli ultimi 12 mesi, ecco che il dato sul famigerato malcostume italico crollerebbe a picco. È questo il risultato centrale di “La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese”, la ricerca curata da Giovanni Tartaglia Polcini per conto di Eurispes, presentata ieri a Roma alla presenza del presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, e del procuratone nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho.

«Dipingere un paese come più corrotto di quanto realmente non sia può avere effetti diretti e indiretti sull’economia», è la premessa da cui parte lo studio. Negli indici internazionali, infatti, il nostro paese si colloca in posizioni molto più basse di quanto non meriterebbe. Il dato più sorprendente riguarda proprio la corruzione percepita. Nell’ultima graduatoria di Transparency International, basata proprio sulla percezione, «risultiamo al 69° posto con l’ 85 per cento degli italiani convinti che istituzioni e politici siano corrotti. Ma, alla domanda specifica, posta a un campione di cittadini, se negli ultimi 12 mesi avessero vissuto, direttamente o tramite un membro della propria famiglia, un caso di corruzione, la risposta è stata negativa nella stragrande maggioranza dei casi, in linea con le altre nazioni sviluppate».

La chiave di questa discrepanza tra sensazione e realtà potrebbe essere rintracciata in quella che alcuni studiosi definiscono “sindrome del Botswana”, intesa come la «tendenza ad accostare il nostro paese a Stati difficilmente assimilabili all’Italia per livello di benessere e di ricchezza».

Guai però a sottovalutare la percezione dei cittadini, mette in guardia Cantone. «È sbagliato dire in modo generico “si tratta di percezione”, è come quando nei confronti della sicurezza diciamo “i cittadini sbagliano a percepire l’insicurezza”. Ci dobbiamo invece interrogare sul perché la percepiscano e lavorare affinché non accada più», dice il presidente di Anac. Una delle possibili risposte agli interrogativi di Cantone viene proprio dalla ricerca Eurispes, lì dove si analizza il “Paradosso di Trocadero”. «Più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno», recita lo studio. «L’effetto distorsivo collegato a questo assunto ha concorso a penalizzare soprattutto gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione in tutte le sue forme». L'efficienza italiana nella repressione del fenomeno, in altre, parole finisce per penalizzarla nel confronto con le altre potenze. È dunque necessario ridefinire indicatori della corruzione accurati e condivisi sul piano internazionale, suggeriscono i ricercatori, «in grado di sostenere una comparazione dei dati fra paesi affidabile», si legge.

«Ovviamente, non intendiamo sostenere che l’Italia sia immune dalla corruzione o che la corruzione stessa non ne abbia caratterizzato la storia antica e recente», specifica infine il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara. «Ciò che vogliamo, invece, fortemente affermare è che il nostro Paese è anche meno corrotto degli altri, che reagisce alla corruzione più degli altri, che non la tollera e che combatte il malaffare ed oggi lo previene anche meglio degli altri».