Cos’è che spinge il capo di uno Stato, nel mentre che si rivolge ai suoi cittadini, ad anteporre a tutte le altre una considerazione pre- politica, di tenore primordiale; una esortazione di carattere umano, sociale: personale, verrebbe da dire? Se lo fa, forse è perché avverte il pericolo che si stiano sbriciolando i pilastri stessi della convivenza, quell’idem sentire che contraddistingue e individua una comunità, la specifica e rende coesa. Non c’è bisogno di girarci troppo intorno per capire che il senso del messaggio rivolto da Sergio Mattarella agli italiani - tutti gli italiani, di qualunque provenienza e di qualsivoglia colore abbiano la pelle, compresi “i cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, praticano sport nel nostro Paese” - sta qui: nell’appello ai “buoni sentimenti” che non sono espressione di un sogno magari di tipo favolistico bensì al contrario costituiscono il cemento primitivo, il perimetro obbligatorio entro cui si svolge l’attività di un popolo. È un messaggio rivolto prima di tutto all’indirizzo degli odiatori, degli haters che impazzano sui social e che sembrano agli occhi di molti rappresentare il timbro dell’epoca del cambiamento. Bene: nessuna metamorfosi in meglio è possibile, dice il presidente della Repubblica, se non si sgombra preliminarmente il campo dalle macerie dello sbriciolamento dei rapporti umani: «Non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società». Solo così, infatti, si possono ricucire i mille strappi che contraddistinguono negativamente rendendola amara fino a diventare sulfurea, la convivenza in un Paese di milioni di abitanti, tra i più avanzati al mondo.

La pacatezza con cui il capo dello Stato ha pronunciato il suo ammonimento non deve ingannare. Il messaggio è fortissimo e l’invito pressante. O si recuperano i valori positivi che stanno alla base della costruzione del recinto comunitario, oppure qualunque necessità ed esigenza risulterà vana: a partire da quella, indispensabile, della sicurezza che tuttavia si realizza solo se si realizzano e si garantiscono i valori naturali dello stare insieme. Se salta questo principio si determinano distorsioni inaccettabili, come la “tassa sulla bontà” prevista dalla legge di Bilancio fresca del via libera del Quirinale: l’aumento del prelievo fiscale sulle organizzazioni no profit, sulle associazioni di volontariato che spargono solidarietà. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha ammesso con onestà intellettuale che si è trattato di un errore a cui si metterà riparo al più presto. La specificazione di Mattarella non è casuale: la pressione ad agire in quella direzione è netta. A proposito di legge di Bilancio. Il capo dello Stato l’ha firmata in fretta e furia al fine di evitare il ricorso all’esercizio provvisorio e soprattutto l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Ue. Aver scongiurato quell’esito, puntualizza il Presidente, è “un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità”.

Ma, appunto, lo strappo che si è determinato è una ferita che non deve restare aperta, che va sanata. È dunque opportuno, spiega Mattarella, che quel confronto sulle singole misure che il Parlamento non è stato messo nelle condizioni di svolgere, sia avviato adesso e in profondità. Magari ripensando, oltre a quelli sul terzo settore, a interventi che coinvolgono le forze armate in compiti che ne “snaturano la funzione” e mortificano “la loro elevata specializzazione”: impossibile non andare col pensiero all’indicazione, contenuta sempre nella manovra, dell’uso dei militari per tappare le buche di Roma. Un assurdo che va cancellato.

Sono tanti altri, e tutti significativi, i temi enumerati nel saluto di fine anno del Presidente: dal servizio sanitario, “grande motore di giustizia e vanto del sistema Italia” alla tristezza e allo sgomento per le catastrofi naturali come i terremoti che hanno deturpato il territorio e la vita di centinaia di migliaia di italiani, il crollo del Ponte Morandi a Genova, le morti assurde tipo quella del giornalista Antonio Megalizzi, “vittima di un vile attentato terroristico insieme ad altri cittadini europei”.

Però, ovviamente, ce n’è uno che riveste un’importanza specifica: le prossime elezioni europee di maggio 2019, «uno dei più grandi esercizi democratici al mondo» considerato che «più di 400 milioni di cittadini» si recheranno alle urne: «Mi auguro che la campagna elettorale si svolga con serenità e sia l’occasione di un serio confronto sul futuro dell’Europa». Futuro e non rigetto: l’appartenenza all’Europa rappresenta un ancoraggio fondamentale per l’Italia che ne è Paese fondatore. Chi si lancia in spericolati esercizi isolazionistici è fuori da quell’alveo. Proprio con lo sguardo al confronto dei prossimi mesi e alla tante promesse, spesso mirabolanti, che partiti e movimenti spargano con disinvoltura, Mattarella ricorda che non ci sono “ricette miracolistiche”: «Soltanto il lavoro, tenace, coerente, lungimirante produce risultati concreti. Un lavoro approfondito, che richiede competenza e che costa fatica ed impegno». Riconoscersi comunità è il contenuto più rilevante del messaggio del Colle. Segnerà i sette anni del mandato di Mattarella. La speranza e l’augurio è che al termine di quel periodo i vincoli di appartenenza nazionale siano più saldi. Gli odiatori che lavorano per allentarli hanno un avversario che siede sulla poltrona più importante della Repubblica.