Davanti al buco nero della violenza di genere, gli avvocati difendono, i magistrati giudicano, la polizia indaga. Gli scrittori, invece, cercano i perchè. Maurizio De Giovanni - giallista napoletano autore della serie di romanzi sul commissario Ricciardi e i Bastardi di Pizzofalcone ( di cui è in libreria per Einaudi l’ultimo capitolo, Vuoto) - ha così spiegato la sua presenza al convegno “Il vuoto oltre la violenza”, organizzato dalla Commissione Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense.

«Sembra fatuo parlare di storie, di fronte alla forza degli argomenti portati dalle relatrici» ha esordito dopo aver ascoltato le testimonianze delle relatrici. Eppure, da scrittore, «sento che se manca un perchè a questi fatti, e se manca la risposta alla domanda: “quando è cominciato l’omicidio di questa donna da parte del marito, dopo sessant’anni di matrimonio?”, se manca questa risposta, si scava un buco sociale incolmabile». Ecco, per De Giovanni «l’unico modo che ho di rispondere a questo perchè è raccontare storie, in cui mostrare quanto sia terribile che le paure di una donna diventino rilevanti solo quando scompare». Come nel caso della vittima nel suo ultimo lavoro, Vuoto: una professoressa di liceo nè giovane nè vecchia, nè bella nè brutta, con una storia all’apparenza comune alle spalle, che sparisce nel nulla. I Bastardi di Pizzofalcone hanno il compito di ritrovarla, o almeno di ritrovare il suo corpo, ma devono lavorare nella più completa assenza di indizi, costretti a scavare negli anfratti di una vita incolore per portare alla luce le ragioni di un odio mortale.

Dalle pagine dei suoi libri alla sala di un convegno in cui si raccontano storie di vittime in carne ed ossa. Come si guarda in faccia la violenza, in particolare quella sulle donne?

Noi scrittori raccogliamo storie e per farlo abbiamo bisogno di incontrare le persone, vederne i visi, sentire le voci. Aver avuto oggi l’opportunità di conoscere queste operatrici è stato inquietante e doloroso: dalla mattina alla sera loro, per lavoro oltre che per profonda passione civile, affrontano la violenza sulle donne e provano a gestirla, ingaggiando anche una lotta contro le istituzioni. Le stesse che, invece, dovrebbero forni- re un supporto immediato.

Perchè dice inquietante?

Ascoltando i loro interventi, ci si rende conto di come - pur essendo così facile identificare il bene e il male in una vicenda di violenza - la collettività non si pone a supporto delle ragioni del bene. Eppure, è così evidente dove stia la ragione e dove il torto. Questo, delle testimonianze che ho sentito, è inquietante.

E cosa, invece, è doloroso?

È doloroso che oggi non ci sia nulla di più urgente della prevenzione della violenza di genere, eppure continuino a venir stornati i fondi e manchino strutture adeguate. Nulla giustifica questa carenza di supporto, anche per chi commette questi crimini, nella fase successiva al carcere. Così, chi sconta una pena esce con un motivo in più di rabbia, con un motivo in più di vendetta.

Dei suoi Bastardi ce n’è uno, Romano, che ha dentro di sè il germe della violenza. A causa di un suo scatto d’ira violenta per gelosia nei confronti della moglie, lei l’ha lasciato. E’ stato difficile scriverne?

È stato difficile per una ragione: Romano è uno dei buoni. Normalmente, è molto facile riferire vizi e violenze ai cattivi. Se io scrivo di un personaggio che fa il criminale, oppure di un delinquente abituale o un rapinatore, il fatto che lui sia anche violento nei confronti della moglie è l’estensione di uno stereotipo. Con i Bastardi, ho voluto dare questo connotato a quelli che vengono considerati i buoni, i tutori dell’ordine. Ho cercato di aggiungere al carattere di una figura positiva un atteggiamento fondamentalmente lesivo. È la macchia in un uomo normale.

La stessa che si ritrova in molti casi di cronaca.

A questo servono le storie: a rappresentare le ragioni di un personaggio che, pur essendo strutturato come un buono perchè Romano è un bravo poliziotto integerrimo - cova dentro di sè un’ombra buia. Quest’analisi è importante, serve a capire che il pregiudizio è sbagliato sempre, perchè non lascia spazio alla valutazione oggettiva e necessaria della realtà. Una realtà che spesso insegna che anche le persone migliori possono nascondere problemi.

Nei suoi romanzi ci sono molte donne forti: Enrica, Livia e Bianca sono le tre donne che ruotano intorno al commissario Ricciardi; tra i Bastardi ci sono Ottavia e Alex. Quelle deboli sono solo le vittime?

Si sbaglia, le donne deboli ci sono ma si stagliano meno rispetto a quelle forti. Le donne deboli scelgono di stare sullo sfondo, oppure di mettere le loro debolezze sullo sfondo. Pensi però ad Ottavia, che è debole nel non avere la forza di prendere una decisione per la sua vita. Oppure alla debolezza di Alex nel non riuscire a imporre la propria identità al padre. Nei miei personaggi, la debolezza deriva dalla mancanza di reattività: questo è il male che va indagato da chi, come me, ha la pretesa di raccontare storie.

Prima di Vuoto, ha pubblicato il primo romanzo o di una nuova serie, Sara al tramonto. Per la prima volta ha scelto una protagonista femminile.

Sì, ed è stato bello da morire. Io sono uno scrittore che lavora per immedesimazione, per questo è stato molto strano descrivere le ragioni e le sensazioni di una donna. Strano ma anche stimolante. Le dico la verità: non mi sono mai divertito tanto.

La forma del romanzo noir è quella ideale, per raccontare questi caratteri?

Il romanzo nero ha proprio questo scopo: dar voce e raccontare le storie della strada. Non quelle strane, oppure quelle che sono familiari ai lettori. Noi scrittori di noir siamo appassionati di storie della strada, delle debolezze delle persone comuni che, a un certo punto, si trovano a pagare per queste debolezze.

Rubo una battuta del commissario Ricciardi: «Chi uccide lo fa per due ragioni, per amore o per fame». Lei sembra prediligere, nei suoi romanzi, i delitti commessi per amore, come mai?

Perchè non c’è niente di più terribile dell’amore. Da scrittore, non sono interessato ai delitti di sistema, a quelli commessi dai servizi segreti deviati o dalla Camorra, oppure ancora quelli seriali. Non perchè non esistano, ma a me piace raccontare la deviazione dei sentimenti umani. Le mie storie hanno al centro delitti passionali, quelli in cui l’amore diventa gelosia, diventa ossessione, diventa odio.

Il lato oscuro della luna?

Non proprio: il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza. L’odio è una perversione dell’amore e raccontare i delitti passionali significa inevitabilmente raccontare l’amore.

La costante nei suoi romanzi è Napoli, quasi un altro personaggio più che uno sfondo.

Napoli è un sostantivo plurale, non ne esiste una sola e sono migliaia di città in una. È una metropoli da 3,5 milioni di abitanti ed è la capitale di un luogo, il Meridione d’Italia, che ha un Pil inferiore a quello greco. Se si pensa a Napoli bisogna pensare ad Atene, a Istanbul, a San Paolo del Brasile, a Buenos Aires, non somiglia a nessuna città italiana e questo la rende un punto di vista eccezionale.

E lei quale predilige?

Napoli, a differenza di Milano o Roma, ha la periferia in centro. Nello stesso condominio, ai piani alti si vede il mare, in quelli inferiori ci sono almeno altre quattro condizioni sociali diverse. Napoli è tutta mischiata e questo genera il suo conflitto. Ecco, io racconto i conflitti perenni di tutte queste città diverse, stratificate e sovrapposte, e così ne descrivo la bellezza.

Un commissario Ricciardi o un Lojacono non sarebbero stati possibili altrove?

Le rispondo così: io sono napoletano e racconto Napoli. Non potrei mai raccontare un altro luogo e, se non fossi napoletano, non avrei mai scritto nulla.