Lo scorso mercoledì ho partecipato ad un dibattito che si è svolto alla Scuola superiore della Magistratura di Scandicci ( Firenze) insieme procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo, al giudice Antonio Balsamo, nella Rappresentanza italiana presso le Organizzazioni internazionali di Vienna e allo storico Francesco Barbagallo. Il tema ricordava il ruolo della magistratura nel contrasto alla mafia. Ne parlo non per raccontare il dibattito, certamente interessante dentro un’aula gremita da giovani magistrati, ma perché il tema chiama in causa i caratteri dello Stato italiano dall’Unità ad oggi.

Ripercorrendo la storia politicogiudiziaria del nostro Paese si capisce bene che, in diversi momenti, molti magistrati hanno teso a chiedere leggi eccezionali per reprimere il fenomeno mafioso e delinquenziale. Ma nelle stesse inchieste si è letto poi che queste leggi hanno colpito essenzialmente la piccola delinquenza e sono servite a praticare compromessi con l’alta mafia. Compromessi che hanno coinvolto la politica e gli stessi magistrati. Questo andazzo è sostanzialmente continuato anche dopo la Liberazione e l’avvento della Costituzione la quale, invece, prefigura con chiarezza uno stato di diritto. I fatti che testimoniano questa realtà sono molti e sono emersi nel dibattito. È questa la causa per cui, a mio avviso, non è stato possibile sconfiggere la mafia che ha provocato illegalità, corruzione, violenza e tanti morti, tra cui molti dirigenti sindacali, politici e tanti magistrati onesti e coraggiosi.

Da questi fatti, dalla storia letta con rigore, emerge con nettezza ciò che Leonardo Sciascia ha sostenuto nelle sue polemiche e cioè che la mafia si può sconfiggere solo in nome della legge, con le garanzie volute dalla Costituzione e solo se ci sarà uno stato di diritto. Uno Stato che non concede né indulgenze né emergenze. La responsabilità primaria su questo terreno è della politica. E la politica, anche dopo la Liberazione e l’approvazione della Costituzione, non ha avuto tutte le carte in regola. E oggi le forze che sono al governo possono, con brutalità, affermare che “se ne fregano” delle articolazioni dei poteri previste dalla Costituzione e che garantiscono i diritti dei cittadini. Non è un caso che, tra le altre, è stata affossata la legge di riforma carceraria su cui si continuano a battersi soltanto i Radicali.

Considero un grande fatto politico e civile l’iniziativa dei giudici della Corte costituzionale di recarsi nelle carceri a parlare con i reclusi.

Il presidente della Consulta, Giorgio Lattanzi, ha ricordato, con parole forti, che la Costituzione deve operare anche dentro le mura dei penitenziari e i detenuti debbono scontare le pene con le garanzie e i diritti scritti nella Carta. Le forze che sono al governo hanno invece come linea politica il giustizialismo più brutale. Ma anche l’opposizione, che giustamente critica il governo sulla manovra economica e altri campi, tace sui temi della giustizia. E nel nostro Paese si è determinato un clima di pesante giustizialismo che, come sempre, incoraggia quella parte della magistratura che mantiene questa vocazione. Per dirla ancora con Sciascia sembra che l’Italia sia irredimibile.