Scegli giurisprudenza, perché poi con quella laurea puoi fare tutto. Il ritornello è noto ( o meglio era, visti dati) e se l’è sentito ripetere chiunque, pure senza il sacro fuoco del diritto, si sia trovato indeciso alla soglia della maturità, almeno fino agli anni Duemila. Peccato non sia più così.

Lo ha capito anche la tv generalista, che nelle repliche estive ha dimenticato l’avvocata Allie McBeal e preferisce andare sul sicuro con la dottoressa Meredith Grey. L’ha infine certificato l’ultimo rapporto dell’Anvur, l’Istituto nazionale che valuta l’università italiana: dall’anno accademico 2010/ 2011 al 2017/ 2018 le iscrizioni a giurisprudenza sono crollate di 53mila unità, passando dall’ 11,1% del totale al 7,2% in sette anni. Una debàcle che fa scendere dal podio per numero di iscritti gli studi giuridici, scalzati dai colleghi dei settori politico- sociale e linguistico. Ai primi posti, nemmeno a dirlo, il settore scientifico con in testa ingegneria ( passati dal 12 al 14,5% degli iscritti totali), supera- to per due decimali da quello economico- statistico ( 14,7%).

Il trend negativo, però, non è una sorpresa per nessuno che - almeno negli ultimi anni - abbia bazzicato tribunali, studi legali e uffici giudiziari: sbocchi “naturali” di ogni laureato in giurisprudenza.

A mettere in guardia i potenziali nuovi iscritti, sono per primi pro- prio gli stessi professionisti e, in particolare, gli avvocati. Secondo il rapporto Censis 2018, infatti, solo 2 legali su 100 non avrebbero dubbi nel consigliare a un giovane di intraprendere la carriera forense. Contro il 33% che, invece, la sconsiglierebbe senza se e senza ma. Nello spicchio dei meno drastici, il 44% non consiglia la professione, a meno che alla base della scelta del giovane non ci sia una forte motivazione personale; il 23%, invece, la consiglierebbe ma solo avvertendo il potenziale avvocato di tutti gli attuali problemi della categoria.

Giudizi così negativi, del resto, dipendono a tutti gli effetti dalle aspettative tradite di chi oggi si trova iscritto all’albo e naviga nelle acque agitate di una professione che ha subito fortemente l’impatto della crisi economica. Il 71% degli avvocati intervistati, infatti, dice che la sua esperienza professionale effettiva si è rivelata ben al di sotto delle aspettative iniziali. Gli ottimisti che invece hanno ottenuto più di ciò che immaginavano dalla loro scelta professionale, invece, sono solo 5 su 100.

E che la percezione negativa che i professionisti hanno di sè trapeli all’esterno è testimoniato da un dato: secondo gli intervistati del Censis, le carriere giuridiche non sono più attrattive perchè costringono i giovani per troppo tempo alla precarietà ( 44% degli intervistati). Non è dunque tanto colpa della perdita di prestigio, nè della mancanza di sbocchi professionali. La parola che spaventa è la stessa che demoralizza molte altre categorie di lavoratori: la sensazione di rimanere appesi in un limbo di incertezze di non riuscire a stabilizzare la propria posizione.

Un elemento, questo, che viene a sua volta avvalorato dall’anagrafe incrociata col dato reddituale: esiste una forte sperequazione di guadagni non solo tra avvocati uomini e donne ( con la componente femminile che guadagna in media quasi il 60% in meno, in una categoria composta quasi per la metà da donne) ma soprattutto tra giovani e anziani. Un avvocato under35 dichiara in media il 70% di guadagni in meno rispetto a un collega cinquantenne, in cui reddito medio- alto oggi è fissato in media nazionale intorno ai 40mila euro di imponibile Irpef.

A guardare bene, tra le cause della precarizzazione c’è però anche il tempo medio di ingresso nel mercato del lavoro, che si allunga ben oltre la laurea magistrale per tutte le professioni “classiche”: avvocatura, magistratura e notariato. Successivamente al titolo di studio, infatti, sono necessari 18 mesi di praticantato ( per notai e avvocati) oppure due anni di Scuola di specializzazione ( le Sspl) per accedere all’esame di abilitazione o al concorso in magistratura. Esami, tutti e tre, che segnano uno scoglio professionale ineludibile e che, in alcuni casi, ritarda di ulteriori anni l’ingresso nel mondo della professione. Risultato: per un laureato di 24 anni è matematicamente impossibile iniziare la professione prima dei 27 anni, ammesso che superi tutti i passaggi in corso e con il beneficio di un calendario favorevole ( considerando che tra il momento dell’esame scritto e la conclusione dell’orale passano sempre almeno 8- 10 mesi).

In particolare per chi sceglie la professione forense, poi, si sono allungati anche i tempi di creazione di una propria autonomia economica: il punto di svolta arriva solo a 45 anni, con un incremento medio significativo del reddito. Prima, i giovani avvocati hanno un reddito medio di 14 mila euro fino ai 35 anni e di 30 mila fino ai 45. Tutti elementi, questi, che hanno lentamente ridotto il numero di iscritti alla facoltà umanistica per eccellenza.