Non datemi, se potete, dello schizofrenico, ma io penso che sia sommamente giusta e sommamente sbagliata la richiesta del ministro Fontana di abolire la legge- Mancino. Giusta, perchè trovo giusta ogni proposta di abolire i reati di opinione, e la legge Mancino punisce i reati di opinione. Sbagliata per la sua strumentalità: proporre l’abolizione di una legge che persegue il razzismo, in un momento nel quale il paese vive un’ondata evidente di razzismo, è qualcosa che facilmente potrebbe essere letta come una promessa di protezione per i razzisti. E questo, specialmente se l’iniziativa viene da un ministro della Repubblica, è una cosa sbagliata, pericolosa e abbastanza grave. Che oltretutto non aiuta certo quelli che si adoperano per sostenere la tesi che la Lega non sia un partito razzista o xenofobo.

Non sto distinguendo tra principi e opportunità.

Più precisamente distinguo tra diritto e politica. Sul piano del diritto non me la sento di indignarmi per la proposta di Fontana. Sul piano politico, un pochino, sì.

Che un ministro, proprio nel giorno nel quale in Campania un razzista spara a un nero e lo ferisce, senta l’urgenza di prendere qualche iniziativa per contrastare “l’ipocrisia antirazzista”, beh, a me pare una provocazione, una pura provocazione, e non di quelle che aiutano il paese a crescere. Abbiamo bisogno di ministri che invece di occuparsi di come governare pensano a quale provocazione gettare sul tavolo? Può darsi, ma ne dubito.

Mi pare di aver capito che anche Salvini abbia preso le distanze dalla dichiarazione di Fontana, proprio per un motivo di contingenza politica. La Lega su questo terreno deve uscire da ogni ambiguità. Non può protestare, offesa, ogni volta che la si accusa di razzismo - probabilmente esagerando - se poi i suoi esponenti si espongono volontariamente con le loro dichiarazioni a que- ste accuse.

Quanto invece alla questione specifica, sollevata da Fontana, da molti anni penso che la Legge- Mancino non sia una legge liberale. Così come non era liberale la legge originaria ( quella modificata e allargata, nel 1993, dalla legge Mancino) e cioè la legge Scelba. Voi sapete che il ministro Scelba è considerato dagli storici uno degli esponenti più autoritari, e anche reazionari, della Democrazia Cristiana degasperiana e post- degasperiana. Fu proprio lui, nel 1952, a scrivere la legge che puniva l’apologia di fascismo. Erano anni di grandi tensioni politiche e sociali. Fortissime manifestazioni di piazza, dei sindacati e delle sinistre, scontri con la polizia, feriti, anche diversi morti. Scelba era noto soprattutto per il suo anticomunismo, e per la mano forte con la quale guidava la polizia. La Legge sull’apologia di fascismo - che andava in controtendenza - fu una specie di legge- pilota, o legge- esca. Era una specie di progetto per mettere fuorilegge il Msi, e cioè il partito neofascista, in gran parte composto da ex gerarchi, che era nato cinque anni prima. Ma mettere fuorilegge il Msi ( che ha sempre oscillato attorno al cinquesei per cento dei voti), sarebbe stato, a sua volta, un’altra iniziativa pilota. Scelba, in verità, non aveva mai osato prender di petto la questione, ma non escludeva, nel caso di un precipitare delle tensioni politiche, l’opzione della messa fuorilegge del Pci, che invece rappresentava addirittura un quarto dell’elettorato. L’idea di tagliare le ali, destra e sinistra, anche sul piano della legalità, probabilmente, Scelba non l’ha mai abbandonata. E la legge sull’apologia di fascismo, nasce da questa idea, o - se vogliamo sfumare - da questo retropensiero.

L’argomento ideale che sosteneva la legge Scelba, e successivamente la legge Mancino ( che ha esteso il reato di apologia di fascismo all’apologia di razzismo), è semplice: la tolleranza ha un limite, e questo limite è l’intolleranza degli altri. E cioè, in soldoni: le ideologie intolleranti non possono essere tollerate.

A me è sempre sembrato, questo principio, una gran contraddizione. La tolleranza a sovranità limitata, a mio parere, non è tolleranza. La tolleranza vive davvero quando garantisce i diritti dei nemici più feroci, non quando protegge, agevolmente, gli amici.

Naturalmente l’eventuale abolizione della legge- Mancino comporta un notevole inconveniente. L’impossibilità di punire quelli che gli americani chiamano i reati d’odio, cioè i delitti razzisti. Ma gli americani considerano l’odio una aggravante del reato, che però esiste solo quando esiste il reato specifico: omicidio, lesioni, violenza. Mentre la legge Mancino immagina l’odio come reato a sé stante. Capite che la differenza è enorme. Una cosa è se io dichiaro il mio razzismo, senza danneggiare nessuno. Una cosa diversa è se commetto un reato e lo commento con una motivazione razzista. Che la motivazione sia un’aggravante non mette in discussione la tolleranza, e non configura un reato di opinione.

Certo, se ci avviamo in questa discussione, dovremmo affrontare poi altre questioni molto complesse. Come i reati associativi, che puniscono la partecipazione ( spesso molto difficile da provare) ad una associazione anche se non si è commesso nessun reato specifico ( omicidio, violenza furto, ricatto, truffa…). Discussione legittimissima, ma che temo non c’entri molto con la dichiarazione del ministro Fontana. Il quale, forse, dovrebbe convincersi che se lo hanno chiamato a far parte di un governo, ora deve fare il mestiere di ministro, e non di capomanipolo dell’ala più estrema e radicale della Lega.