Il senso della battuta velenosa rivolta da Berlusconi al semialleato Salvini giovedì pomeriggio, «Come va con i tuoi in Veneto? Tutto tranquillo?», si è capito davvero solo ieri mattina quando Luca Zaia, governatore del Veneto, ha sparato a palle incatenate contro il decreto dignità. Aia non è un qualsiasi dirigente leghista: è il governatore che esercita un controllo pieno e totale sulla vera roccaforte del Carroccio. Dava voce all’insofferenza dello zoccolo duro leghista.

Il leader azzurro sapeva che sarebbe successo. Nelle settimane scorse Arcore ha preso contatto con centinaia di aziende venete, quasi 700, soffiando sul fuoco della rivolta contro il decreto dignità. Berlusconi conosce bene quel mondo, e conosce anche meglio quello del nord lombardo. Sa che a quella fascia sociale degli immigrati e dei campi rom importa pochissimo. Guardano agli sghei, e lo scambio politico intercorso tra Salvini e Di Maio, via libera sulle politiche dure anti- immigrati in cambio del semaforo verde per alcune misure sociali del resto timide, come il decreto dignità, non li soddisfa affatto.

La strategia a cui Berlusconi si attiene sin dalla nascita del governo gialloverde è semplice ed esplicita: fare leva sulle misure economiche, a partire proprio dal decreto dignità, per incunearsi tra Lega e M5S, per far saltare l’alleanza e poi sostituire i 5S in un governo compiutamente di centrodestra. E’ una partita difficile, perché Salvini non ha alcuna intenzione di arrivare a una crisi di governo nei prossimi mesi, ed è anche un’operazione ad alto rischio. Se riuscisse solo la prima metà del progetto, far saltare la maggioranza, il risultato sarebbe per Arcore disastroso: in quel caso infatti diventerebbero inevitabili nuove elezioni dalle quali il partito azzurro uscirebbe schiantato.

Ora Berlusconi è convinto di essere vicino al traguardo. Lo ha detto all’assemblea dei deputati azzurri giovedì, ma anche, a porte chiuse, ai pochi dirienti di cui si fida, come la vicepresidente della Camera Mara Carfagna: «La maggioranza esploderà in autunno, sul Def. A quel punto molti parlamentari dell’M5S cercheranno di evitare a ogni costo nuove elezioni perché sanno che non rientrebbero in parlamento e comunque saranno ben felici di non dover versare più gran parte delle loro retribuzioni al Movimento».

Di certo il capo azzurro non parla del tutto a vanvera. La campagna acquisti è in corso da mesi. Ma di qui a dare per certa, o anche solo per probabile, la conquista dell’ottantina di voti necessari per avere numeri sufficienti per sostituire M5S ce ne passa.

Salvini, inoltre, preferisce di gran lunga il governo con Di Maio che quello con Tajani, al mo- mento il principale ' campione' forzista. Tajani, ma in realtà tutta Fi, è infatti l’espressione italiana del Ppe, principale alleato di Angela Merkel, non meno europeista del Pd, forse anche di più. Lo stesso Tajani, del resto, è presidente del Parlamento europeo. Per Salvini una maggioranza di centrodestra renderebbe tutto non più facile ma molto più difficile. Berlusconi pensa di poterlo allettare e convincere mettendo sul tavolo la poltrona più ambita, quella di presidente del consiglio. Ma è una mela avvelenata e Salvini lo sa. A fronte di una crisi a decidere sarebbe di nuovo Mattarella, che dietro il basso profilo d’ordinanza si è già dimostrato un osso durissimo. Il leader leghista sa perfettamente che l’offerta di Berlusconi si arenerebbe probabilmente sulla strada in salita del Colle.

Quasi certamente anche Silvio Berlusconi sa bene che la partita è molto meno semplice di quanto non faccia credere ai suoi parlamentari e anche agli ufficiali di fiducia. Ritiene comunque che sia il momento di affondare, con tanto di restyling del partito che verrà ribattezzato ' L’Altra Italia' e di ricostituzione del gruppo dirigente con le postazioni chiave affidate a Tajani e al «concreto Adriano Galliani». M5S è infatti costretto a imboccare, sia pur con passo felpato, una strada che Berlusconi sa essere indigesta per la base leghista. Spera davvero che i conflitti inevitabili come quelli di queste ore sulla Tav e sul decreto dignità rendano impossibile, nonostante le intenzioni di Salvini, mantenere unita la maggioranza. Ma se anche il colpo grosso dovesse fallire vuole che alle europee ci sia un partito di Arcore rinnovato ' come brand' pronto a raccogliere il ' voto di protesta' di quella parte, politicamente essenziale della base leghista. Sulla carta sono imprese disperate, ma non sarebbe la prima volta che Berlusconi si dimostra più lungimirante dei commentatori politici e persino dei sondaggisti.