La Corte d’assise di Palermo, che il 20 aprile scorso ha emesso la sentenza del processo sulla “trattativa”, potrebbe non aver calcolato correttamente i tempi di prescrizione del reato di calunnia contestato a Massimo Ciancimino nei confronti dell’ex Capo della Polizia Gianni De Gennaro. Nell’ambito dello “Stato–mafia”, il superteste è stato condannato a 8 anni: le motivazioni della sentenza non sono ancora note, ma già il dispositivo sancisce che Ciancimino jr avrebbe manomesso uno dei documenti consegnati alla Procura di Palermo, nel quale appariva appunto il nome di De Gennaro. Il documento presentava un elenco di nomi di membri delle istituzioni che avrebbero avuto un ruolo nella presunta trattativa tra Stato e mafia. Interrogato il 15 giugno 2010, Ciancimino raccontò ai pm che quei nomi «appartenevano alla grande architettura, a chi insieme a mio padre (Vito, ex sindaco di Palermo, ndr) aveva manovrato la storia dell’ultimo ventennio. Appartenenti al quarto livello. Mio padre disse che se avessi fatto quei nomi sarei stato preso per pazzo e la mia vita sarebbe stata a rischio». Davanti ai suoi occhi, Vito Ciancimino aveva cerchiato il nome “Gross” e aggiunto il nome “De Gennaro”, collegando con una freccia il primo al secondo. Una perizia aveva evidenziato che il nome di De Gennaro sarebbe però stato aggiunto successivamente all’iniziale redazione del manoscritto: per questo motivo, il 21 aprile del 2011, Ciancimino, su richiesta della Procura palermitana, veniva arrestato con l’accusa di calunnia aggravata nei confronti di De Gennaro in quanto «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed al fine di avvantaggiare l’associazione mafiosa, con dichiarazioni rese al pubblico ministero presso il Tribunale di Palermo incolpava, sapendolo innocente, De Gennaro Giovanni, di avere, nella sua qualità di funzionario della polizia di Stato, intrattenuto costanti e numerosi rapporti illeciti con esponenti dell’associazione mafiosa Cosa nostra». Il manoscritto avrebbe dovuto costituire la prova della “doppia identità” dell’ex Capo della Polizia: avrebbe associato quest’ultimo al fantomatico “signor Franco”, l’uomo dei Servizi a cui sarebbe stata affidata la regia occulta della “trattativa” Stato-mafia. Ma a rivedere tutti i dati del processo – a giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza – la calunnia contestata a Ciancimino si sarebbe dovuta prescrivere il 15 dicembre del 2017. La Corte d’assise di Palermo ha aggiunto agli iniziali 7 anni e mezzo previsti per la prescrizione del reato di calunnia i periodi in cui il processo si è interrotto o sospeso. In effetti durante il dibattimento si sono verificate alcune cause interruttive della prescrizione: ad esempio, il rinvio delle udienze per l’adesione dei legali degli imputati alle astensioni indette dall’Unione Camere penali. Ma dall’analisi dei verbali d’udienza, che il Dubbio ha potuto consultare, pur considerando tutte le interruzioni, il reato si sarebbe comunque prescritto prima del 20 aprile 2018. Nei conteggi sarà fondamentale verificare se il presidente della Corte, Alfredo Montalto, ha conteggiato i rinvii per impedimenti a sostenere gli esami testimoniali. Considerato che in molti casi le udienze sono state comunque celebrate, l’impedimento non dovrebbe aver valore ai fini processuali e non dovrebbe interrompere il decorso dei termini. L’eventuale uscita di scena, per intervenuta prescrizione, del superteste Ciancimino potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di altre sorprese che il processo Stato-mafia potrebbe rivelare. Non escludendo eventuali possibili risvolti disciplinari al Csm per i giudicanti.