L’uomo che, come rivela Francesco Verderami su Il Corriere della sera di sabato scorso, dopo aver parlato con ' Il demonio' di Francoforte ( Mario Draghi, il presidente della Bce, suo amico) avrebbe convinto Matteo Salvini a chiudere sul governo, direbbe che queste sono tutte cavolate dei giornali. Giancarlo Giorgetti, definito da anni il ' Gianni Letta padano', il Richelieu del Carroccio, ed ora al posto del Letta vero come sottosegretario plenipotenziario alla Presidenza del Consiglio è l’architrave della struttura di governo.

È insieme con il vicepremier e ministro dell’Interno, leader del partito Matteo Salvini, il pezzo forte piazzato dalla Lega nella stanza dei bottoni. Un vero contraltare al premier pentastellato Giuseppe Conte. Giorgetti i giornali si vanta da sempre di non leggerli. Per non confondersi le idee, un po’ sullo stile thatcheriano. Ma soprattutto perché ha sempre fatto, come il gran diplomatico di Silvio Berlusconi, della riservatezza e il basso profilo le sue vere armi di potere. Certo, lui è un Letta in salsa padana. Meno vellutato e avvolgente nei modi. Con qualche parolaccia a volte, ma buttata là sempre con una sua nonchalance tanto per rendere meglio l’idea all’interlocutore. E detta sempre in modo calcolato. Nei giorni del caos della trattativa per il governo disse: «Di Maio non conta più un c...». Giorgetti fece una smentita, ma con un malizioso sorriso sulla bocca. Ed esegeti leghisti spiegarono: «Quando il Gianca ( Giancarlo ndr) fa così, intende sempre mandare un messaggio politico a seconda dello stato della trattativa».

Il ' Gianca', come lo chiamano in Via Bellerio da una vita, o quel Giancà pronunciato in modo scherzoso in romanesco da Salvini che al telefono si aggrappava a lui mentre i cronisti lo assediavano a Montecitorio ( e Di Maio pure con gli sms) è una sorta d’ossigeno per tutti i segretari leghisti. Rimasto umile e burberamente cortese nei modi, da figlio di un pescatore e di un’opera tessile di Cazzago Brabbia, paesino di 800 abitanti della provincia di Varese, è però il laureato numero uno del gruppo di laureati della Lega reclutato sui banchi del parlamento dal padre fondatore Umberto Bossi. Dall’avvocato Roberto Maroni all’ingegner Marco Reguzzoni all’avvocato Roberto Cota, al laureato in Scienza della comunicazione Massimiliano Fedriga. Ma Giorgetti era il più laureato di tutti, in Economia alla Bocconi, con tanto di lode. E con in famiglia un cugino banchiere, Massimo Ponzellini. Da qui la sua fama di uomo delle banche e delle nomine, di uomo forte del potere verde a cominciare dalla fitta rete di municipalizzate al Nord, un po’ come il potere rosso a livello locale del vecchio Pci. Ma Giorgetti, leghista fino al midollo, uno che ha coniato per sé tanti anni fa il termine di «militante ignoto», è quel «bravo ragazzo che ha restituito pubblicamente a Fiorani quella roba lì di 50.000 euro dicendogli aiutaci piuttosto il Varese calcio», disse Umberto Bossi a Panorama nel 2006. Il Senatùr in lui ha sempre visto «doti di saggezza, di equilibrio, grandi capacità amministrative» più che «l’arte del comando», ovvero quella che da leader carismatico esercitava lui e ora Salvini. Ma senza Giorgetti Bossi a volte con ' Silvio' forse non avrebbe trovato la quadra del momento. Capitò al cronista una notte in cui in un ristorante vicino Varese cercava di intervistare il Senatùr ( che in genere si concedeva un po’ solo nelle ore piccole) assistere casualmente dal vivo alla scena in cui il ' Gianca' fece una triangolazione con il cellulare in mano tra ' Silvio' e ' Umberto' che passò lui all’allora presidente del Consiglio.

E Giorgetti soddisfatto per quell’ uno- due tra il ministro delle Riforme Bossi e il premier poté riprendere a mangiare. Con aria sorridente e un po’ maliziosa. Ha con i cronisti che lo conoscono un po’ l’atteggiamento dell’eterno ragazzone, tifoso del Varese e della sua squadra inglese del cuore, il Sauthampton. Avendo una certa dose di ironia, sembra che non si prenda mai troppo sul serio. Ma lui è il leghista che parla con i potenti dell’Europa. In realtà è meticoloso e un vero sgobbone. Napolitano lo volle nella squadra dei saggi nel 2013. Difficile trovare uno del Pd che te ne parli male. Refrattario ai giornalisti fino all’eccesso finché gli eventi lo hanno costretto ad andare in tv, il Letta padano appena dopo l’approvazione del Rosatellum, con il cronista pronosticò: «Vittoria del centrodestra? Qui mi sa che finirà in un’altra roba...», disse pensando già all’asse giallo- verde.

Molto stimato da sempre ad Arcore, ora sarà decisivo per tenere insieme quel che resta del centrodestra. Ma stavolta da passare al telefono a ' Silvio' nei momenti difficili c’è quella macchina da guerra di voti che è Salvini. Il quale intanto Berlusconi prende e lo chiama di suo anche quando è incavolato. E non è ' Umberto' che, da una posizione di forza diversa rispetto al Cav, a Giorgetti quando non ne poteva più diceva: «Vabbè, fai come c... ti pare».