L’ informativa della polizia sul «sistema Montante», della quale parla l’articolo di Damiano Aliprandi, è abbastanza clamorosa.

Se la metà delle notizie che contiene fosse verificata e confermata, vorrebbe dire che un pezzo importante del giornalismo antimafia è assai meno trasparente di quel che vuole far credere. Il problema è che attualmente esiste solo questa informativa. Riscontri zero, non ci sono prove.

E le informative della polizia e dei carabinieri, se le cose funzionassero bene nel nostro sistema giudiziario- informativo, sarebbero materiale di lavoro esclusivamente per la magistratura e non per i giornalisti. Invece succede sempre che c’è una manina - tra i poliziotti, o i giudici che diffonde queste informative, e scoppia il putiferio.

È stato sulla base delle informative di alcuni carabinieri ( poi risultate addirittura contraffatte) che un anno e mezzo fa scoppiò il caso Consip che portò danni irreparabili - e ingiusti - alla figura dell’ex premier Renzi e del partito democratico. Almeno in parte la attuale situazione politica - con i partiti populisti in grande vantaggio su quelli liberali e socialdemocratici - è figlia di quello scandalo, montato in modo sofisticato e sapiente. Allora fu soprattutto il Fatto Quotidiano a condurre la campagna, con l’appoggio dei 5Stelle, ma fu ben spalleggiato da altri grandi giornali, che si contesero informative della polizia, testi segreti di intercettazioni, e persino di intercettazioni illegali, come quelle tra un imputato e il suo avvocato. Cerchiamo ora di evitare che si ripeta quel copione a parti invertite. Stavolta i giornalisti delFatto invece che dalla parte dei fustigatori di costumi sono dalla parte dei sospettati. Ecco, evitiamo il gioco delle ritorsioni. E consideriamo tutti innocenti fino a prova contraria. Gli amici del Fatto conoscono benissimo quella vecchia e celebre frase di Pietro Nenni: «Se fai a gara a fare il più puro, troverai sempre uno più puro di te che ti epura…».

Devo dire che ho l’impressione che il rischio di una campagna di stampa contro Il Fatto, o contro l’Espresso, per i sospetti avanzati dalla polizia di Caltanissetta, non sia un rischio altissimo. Dentro l’informativa della polizia ci sono nomi e fatti che riguardano una decina di giornalisti e di giornali importanti. Qualcosa mi dice che i giornali e i giornalisti, se scoppia qualche scandaletto che li riguarda, diventano molto indulgenti. Immagino che se questa informativa riguardasse qualche ministro del Pd, o qualche donna o uomo del cerchio magico di Berlusconi, per esempio, avrebbe già conquistato i titoli di apertura di tutti i giornali, avrebbe riempito i talk show ( anche della “7”) e magari avrebbe provocato una raffica di dimissioni. Coi giornalisti, si capisce, è diverso.

Fatta questa premessa, e ribadita la mia convinzione sull’innocenza dei colleghi accusati, occorrerà anche qualche riflessione sul rapporto del giornalismo italiano con l’antimafia. Riflessioni che non hanno niente a che fare con questa inchiesta: l’inchiesta è solo lo spunto. Esiste un problema, ed esiste da tempo. Il giornalismo che si occupa di mafia, e che quindi fornisce le informazioni sulla mafia e sulla lotta alla mafia, è esclusivamente quello accreditato dalla famosa compagnia dell’ antimafia. Cioè da quel gruppo di magistrati e di intellettuali e di sacerdoti e di rappresentanti politici che si sono conquistati non si sa bene come l’esclusiva del marchio antimafia, e lo usano a loro piacimento. Se un giornalista non ha il benestare della compagnia è bene che non si occupi di mafia. Questo è un problema, perché l’assoluta assenza di pluralismo, su questo terreno, ha prodotto fenomeni macroscopici di disinformazione. L’assenza di pluralismo, e quindi di punti di vista, sempre produce una distorsione dell’informazione. E trasforma le ipotesi ( o, peggio, le tesi) in verità rivelata.

Basta guardare a come i giornali e le televisioni hanno riferito del processo “Trattativa“. Tutti allineati sulle posizioni dei Pm, e in particolare del Pm Di Matteo. Dov’è l’anomalia del processo “Trattativa“? Non tanto nella linea accusatoria ( che io considero debolissima, inconsistente, ma che è legittima) quanto nella copertura giornalistica, colpevolista, che è stata così massiccia e così acritica da determinare un condizionamento evidente della giuria. Basta dire che qualche giorno fa un consigliere di amministrazione della Rai, di gran nome ( parlo di Carlo Freccero) ha chiesto la trasmissione di un documentario colpevolista sulle reti Rai, quando il processo è ancora al primo grado. E siccome il presidente della Rai, logicamente, gli ha detto di no, si è indignato, ha mobilitato il Fatto e addirittura ha parlato di censura. Senza che nessuno si scandalizzasse per le sue prese di posizione.

Sarebbe una novità importante se invece adesso potessimo ricominciare a parlare di antimafia facendo piazza pulita dei pregiudizi e del potere “feudale“ della “compagnia antimafia“. In questo, l’inchiesta- Montante ci può aiutare. Io sono abbastanza convinto non solo dell’innocenza dei colleghi, ma anche della probabile innocenza di Montante. Spero che saranno tutti completamente scagionati. E spero che poi, anche con loro, si potrà finalmente iniziare a discutere, e a ragionare, senza che nessuno accampi un complesso e un diritto di superiorità.