Dopo quasi novanta giorni di attesa e una domenica di passione conclusa con la remissione dell’incarico da parte del premier incaricato, Giuseppe Conte, ora la mano spetta al Colle. Sergio Mattarella l’aveva annunciato il 7 maggio, quando sembrava che Lega e 5 Stelle non trovassero la quadra: «Se una maggioranza non si trova, darò vita a un governo neutrale per portare il Paese al voto». Detto fatto, dopo che l’ipotesi di governo gialloverde è franata contro il veto del Colle sul nome del professore anti- euro Paolo Savona al ministero dell’Economia, ieri Mattarella ha convocato al Quirinale e assegnato l’incarico al professor Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review. Cottarelli, nell’accettare con riserva, ha indicato due ipotesi: «In caso di fiducia il Governo affronterà l’approvazione della legge di bilancio per il 2019, per poi andare a elezioni a inizio 2019», «in assenza di fiducia il governo si dimetterebbe immediatamente, il suo compito sarebbe l’ordinaria amministrazione con elezioni dopo il mese di agosto». Un governo, quello targato Mattarella- Cottarelli, che si distinguerà per «neutralità completa rispetto al dibattito elettorale», tanto che l’ex Fmi ha promesso di impegnarsi «a non candidarmi e chiederò un simile impegno a tutti i membri del governo». Quanto al totoministri, il premier incaricato dovrebbe presentarsi oggi con la lista e a ricorrersi sono nomi soprattutto di giuristi: il magistrato e vertice Anac, Raffaele Cantone; l’ex ministra della Giustizia del governo Monti e rettore dell’Università Luiss, Paola Severino; il prefetto Franco Paolo Tronca e il presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno.

A fare da termometro alla mossa del Colle, il differenziale tra Bund e Btp: lo spread che ha acceso la tensione sul mercato. Ieri è salito ai 235 punti, con Piazza Affari in rosso del 2%.

Il clima politico, intanto, rimane infuocato: il governo neutrale ha incassato per ora il placet solo del Pd, che si è stretto attorno a Sergio Mattarella, mentre tutte le altre forze politiche hanno ribadito il no, già scandito il 7 maggio.

Lega e 5 Stelle, che per cinque lunghi giorni avevano assaporato il gusto del governo e che si sono visti stoppare dal Colle, hanno invece riversato la loro rabbia sul presidente. Matteo Salvini e Luigi Di Maio, a turno, hanno scelto prima la diretta Facebook e poi il salotto pomeridiano di Barbara D’Urso a Pomeriggio 5 per dare sfogo alla loro frustrazione, vivisezionando il caso- Savona e tornando sulla proposta di “impeachment”. «Il problema non era solo Savona, abbiamo proposto nomi alternativi come quelli di Bagnai e Siri, ma non andavano bene nemmeno quelli», ha attaccato Di Maio, che è stato immediatamente smentito dal Quirinale con un comunicato stampa: «Non risponde alla verità la circostanza riferita dall’onorevole Luigi Di Maio a Pomeriggio 5, che al presidente della Repubblica siano stati fatti i nomi di Bagnai e Siri come ministri dell’Economia». Botta e risposta, Di Maio ha confermato la sua dichiarazione, alla quale ha fatto eco lo stesso Savona, in una lettera al sito Scenari economici.

«Ho subìto un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio Comunicato, criticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti», ha scritto l’economista. Quanto alla messa in stato d’accusa del Presidente, il leader 5 Stelle ha ribadito che Mattarella «è andato oltre le sue prerogative, la verità è che non ci volevano al governo» e che «l’impeachment si può fare, serve la maggioranza assoluta del Parlamento, se la Lega non fa un passo indietro abbiamo non la possibilità ma la certezza assoluta». Altrettanto arrabbiato ma meno oltranzista, invece, Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio, infatti, continua a tenere aperto il doppio fronte: da una parte l’alleanza grillina, giovane quanto sfortunata; dall’altra lo storico legame con il centrodestra a trazione berlusconiana. Forza Italia ha già annunciato che non voterà la fiducia al governo Cottarelli: Berlusconi non ha alcuna intenzione di essere lui a rompere la coalizione con Salvini e Giorgia Meloni ed è pronto a tornare in campo dopo la “riabilitazione”. La Lega, invece, non ha ancora tagliato il filo diretto con Luigi Di Maio, con cui Salvini si è di nuovo incontrato ieri e ha mandato un messaggio sibillino al Colle: «No questo governo non lo fate? Presidente, ci rivediamo fra qualche mese, saremo ancora di più, saremo ancora più forti e il governo lo facciamo». Del resto, ragiona Salvini, «A me interessano i programmi, faccio parte di una coalizione, ma gli alleati mi devono dare una mano, perché se dicono “viva l’Europa, viva la Merkel, viva le banche”, come ho visto ieri, la situazione si fa difficile».

La via del nuovo governo, con tutta probabilità nato già sfiduciato, è dunque lastricata d’insidie targate Unione Europea. Su questo, infatti, si consumerà il dibattito politico dei prossimi mesi e, con tutta probabilità, la futura campagna elettorale. Salvini l’ha già bollata come «contro l’Europa dello spread e dei poteri forti che vuole imporre i ministri e togliere valore al voto del popolo», Matteo Renzi ha invece scritto che «sarà una battaglia incredibile tra chi vuole uscire dall’Europa e chi vuole un’Italia forte ma dentro l’Europa. Sarà una battaglia tra chi combatte sulla base di fake news e chi porterà numeri, fatti, argomenti. Sarà una battaglia tra chi scommette sull’antipolitica e chi crede nella politica» . Intanto, le piazze tornano ad essere uno strumento politico: Lega e Movimento 5 Stelle hanno proclamato due diverse manifestazioni per il 2 giugno ( Il Carroccio «sarà in più di mille piazze in tutta Italia per spiegare quello che non stiamo facendo per colpa di qualcuno; i 5 Stelle hanno annunciato una manifestazione a Roma); il Partito Democratico invece ha organizzato per oggi mobilitazioni in tutte le città d’Italia, in vista di una manifestazione nazionale a Roma l’ 1 giugno.