Non c’è alcun riscontro all’ipotesi che l’ex senatore Antonio Caridi sia stato «a tempo indeterminato un esecutore del programma della consorteria criminale». Così il tribunale del Riesame di Reggio Calabria motiva la scarcerazione del politico calabrese, coinvolto nell’inchiesta “Mammasantissima”, che ha lasciato Rebibbia il 26 marzo scorso dopo un anno e mezzo dietro le sbarre, non più come persona accusata di associazione mafiosa, bensì con la riqualificazione dell’accusa in concorso esterno. La vicenda era tornata al tribunale della libertà dopo due annullamenti da parte della Cassazione, che aveva censurato le motivazioni con le quali era stato confermato il carcere per Caridi, rinviato a giudizio nel maxiprocesso “Gotha”. Dalle carte dell’inchiesta, scrivono i giudici di Reggio Calabria, non emerge l’inserimento di Caridi nella struttura organizzativa della cupola “massomafiosa” che da anni imporrebbe le proprie regole alla politica calabrese, pur fornendo un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo «alla ‘ ndrangheta unitariamente intesa», in quanto «destinatario delle preferenze elettorali degli affiliati e delle preferenze di altri cittadini, fatte confluire da esponenti della cosca, nel corso di varie consultazioni elettorali». Favori per i quali «si sdebitava, attraverso la strumentalizzazione dei propri incarichi politici». I giudici descrivono dunque Caridi come un politico «aduso a concludere accordi di carattere illecito» con gli esponenti dei clan operanti sul territorio calabrese «pur di ottenere il proprio tornaconto elettorale», comportamenti dai quali, però, non deriva una partecipazione alle stesse cosche, così come ipotizzato dalla Dda di Reggio Calabria. La sua condotta «non può, dunque, che collocarsi ad un livello inferiore a quello della partecipazione all’associazione mafiosa ed in particolare a quello del concorso esterno all’associazione mafiosa».

Secondo l’indagine, in Calabria esiste una «componente riservata e segreta», al cui vertice ci sarebbero l’ex deputato Paolo Romeo, l’ex sottosegretario della Regione Calabria Alberto Sarra, l’avvocato Giorgio De Stefano ( condannato a 20 anni in abbreviato) e il funzionario Francesco Chirico ( che è stato assolto). A riprova dell’esistenza della componente riservata, messa in dubbio dalla Cassazione nella sentenza con la quale annullava con rinvio l’ordinanza cautelare a carico di Caridi, l’accusa ha messo sul piatto la sentenza di condanna di De Stefano, pronunciata il primo marzo 2018. Ma secondo il Riesame, che ha condiviso i rilievi degli avvocati Valerio Spi- garelli e Carlo Morace, da ciò non deriva nessun effetto nei confronti di Caridi, «posto che la sentenza non è stata emessa nei suoi confronti e che si tratta di un provvedimento decisorio non definitivo». Ma anche ritenendo esistente la componente segreta, scrivono i giudici, «non emerge alcun indizio dotato del crisma della serietà atto a dimostrare la partecipazione alla stessa di Caridi».

Per la Dda reggina, la partecipazione dell’ex senatore alla cupola sarebbe sostanzialmente provata da due conversazioni, intercettate il 20 aprile 2002 nello studio dell’avvocato Romeo. Nella prima, in occasione delle comunali a Reggio Calabria, Romeo delineava una complessa strategia per la composizione delle liste, con lo scopo di far eleggere persone in grado di consentire, a lui e ad altri, di controllare l’operato del sindaco e di condizionare in concreto l’attività politica. Tra i politici prescelti anche Caridi, del quale venivano tratteggiati il ruolo, la statura politica e le prospettive di carriera. Subito dopo veniva captata un’altra conversazione tra Romeo, Caridi e l’onorevole Giuseppe Valentino, sempre centrata su strategie e prospettive politiche, durante la quale Valentino, rivolgendosi a Caridi, affermava: «Nei tuoi confronti c’è stata una cambiale che l’hai accettata, l’hai firmata, adesso bisogna onorarla». Ma tali conversazioni, scrive il Riesame, non sono sufficienti a sostenere la tesi dell’accusa, ovvero la disponibilità di Caridi ad eseguire i fini della cupola. Esito, sottolineano, che «non trova alcun riscontro negli atti di indagine, in quanto, ad eccezione di una conversazione intercettata nel 2014, cioè 12 anni dopo, avente ad oggetto questioni relative alla costituzione della città metropolitana di Reggio Calabria, non vi è traccia di nessun altro contatto tra Romeo e Caridi da cui desumere un nesso fra la carriera politica dell’odierno indagato e la componente riservata facente capo a Romeo». L’ipotesi più credibile, dunque, è quella di un contributo esterno da parte del politico: le singole cosche con le quali si interfacciava, scrivono i giudici, sapevano di poter contare su Caridi per soddisfare le più svariate necessità e lui «si rendeva disponibile ad assumere numerosi lavoratori, ad individuare un medico per l’affiliato latitante, a sbloccare alcuni lavori edilizi o, ancora, a truccare concorsi pubblici». Il suo concreto contributo alle cosche, dunque, «è stato individuato», si legge, un contributo «particolarmente intenso, consolidato e continuativo», ma pur sempre privo di battesimo mafioso.

Non sussistono, dunque, le esigenze cautelari. In primo luogo, scrive il Riesame, perché le condotte più recenti contestate risalgono al 2010 e c’è traccia di un unico contatto successivo tra Caridi ed esponenti delle cosche di ‘ ndrangheta, ovvero l’incontro videoregistrato a casa del boss Pelle «il 17 febbraio 2013». Un incontro che, «seppure non può ritenersi di scarsa rilevanza, rimane pur sempre un elemento indiziario isolato e comunque risalente a 5 anni fa». Ma non solo: il contributo di Caridi come concorrente esterno, seppur significativo, «appare specifico», perché fornito sempre in occasione delle competizioni elettorali a cui partecipava, con lo scopo di «ricambiare l’appoggio elettorale ricevuto». Del resto sono stati gli stessi collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono state ritenute utilizzabili, a circoscrivere i rapporti con il politico ai periodi elettorali. Elementi a cui si aggiunge il fatto che Caridi non occupa più alcun ruolo pubblico e non ci sono prove che l’ultimo incarico, quello di senatore, sia stato guadagnato grazie al sostegno delle cosche, né che abbia utilizzato quella posizione per finalità delittuose.