«L’antifascismo non è di per sé di sinistra o di destra, ma è il terreno comune sul quale è nata la nostra democrazia». Valerio Onida, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, è presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri ( Rete degli istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea), e, in occasione della festa della Liberazione, ammonisce: «Il Paese non ha bisogno di “grandi” riforme costituzionali, ma di analizzare e di affrontare i problemi profondi che si manifestano nella società».

Il 25 aprile è ancora una ricorrenza che unisce il Paese?

Certamente è una ricorrenza che evoca unità. La liberazione dal regime fascista è stata la fine, la chiusura di un’epoca. I fascismi sorti in Europa nella prima metà del Novecento sono finiti con la fine della Seconda Guerra Mondiale, e la Liberazione ha aperto il nostro orizzonte a un futuro nel solco della Costituzione, la carta che tiene insieme il nostro popolo.

Il voto del 4 marzo ha restituito l’immagine di un’Italia profonda- mente divisa. Oggi la Costituzione può ancora fare da collante?

In democrazia la divisione tra diverse visioni politiche è fisiologica. Il contesto costituzionale, invece, è il prodotto di uno sforzo unitario che, in concreto, ha portato all’unità del Paese e ha posto al centro il primato della persona, i diritti e doveri inderogabili di solidarietà, le libertà civili e i diritti sociali, l’apertura internazionale. Il problema è che oggi il metodo del nostro confronto politico sembra talora in conflitto con questo terreno valoriale.

In che modo?

Oggi affiora un metodo di conflitto politico che, in un certo senso, nega la democrazia: i partiti si pongono come fronti fra di loro incompatibili in modo assoluto, come se non ci fosse nessun punto possibile di convergenza, e ogni confronto sembra uno scontro mortale. Lo vediamo in questi giorni con le consultazioni: dal punto di vista dei programmi concreti difficilmente esistono distanze del tutto incolmabili o differenze apocalittiche, ma è il metodo il problema.

Esiste dunque un problema di metodo democratico. Dal punto di vista dei valori, invece?

Su questo fronte affiorano nella società segnali di sfiducia e di distacco dai principi costituzionali, in particolare quelli di uguaglianza e di visione internazionale, e di rifiuto della politica. Sembrano riproporsi nazionalismi del “noi a casa nostra”: visioni chiuse, che contrastano con l’orizzonte costituzionale, aperto a un mondo di liberi e uguali e pronto a dare il nostro contributo per costruirlo. E la politica da questo non è immune.

Perchè?

In politica si sta indebolendo il concetto di solidarietà. Sembra che l’unica cosa importante siano gli interessi particolari o di categoria, o anche di regione o di nazione, dimenticando il senso di comunità che punta a costruire una vita migliore per tutti.

L’antifascismo, nel sentire comune, è da sempre legato alla galassia della sinistra. Quanto ancora è una sua connotazione?

L’antifascismo non è appannaggio della sinistra ma di tutto l’arco costituzionale: una destra democratica e una sinistra democratica si ritrovano e devono ritrovarsi nei valori della Costituzione. Non è e non può essere patrimonio esclusivo di una parte politica, e dunque non ha senso connotarlo esclusivamente a “sinistra”: l’antifascismo è rispetto dei valori condivisi in una società democratica, in cui destra e sinistra si confrontano legittimamente.

Eppure, oggi, in politica l’utilizzo del termine è tornato di moda e ha provocato molte polemiche.

La Costituzione per antonomasia è antifascista, perchè ha chiuso con il periodo fascista e ha segnato la nascita di uno Stato fondato su valori antitetici a quelli del fascismo. Non ha alcun senso fare a gara a chi è più antifascista o disegnare schieramenti basandosi su questo termine, sventolando bandierine di parte. Bisognerebbe, invece, tenersi fedeli al senso profondo dell’antifascismo, che è prima di tutto rispetto e costruzione del terreno democratico di confronto.

Anche durante la campagna referendaria del 4 dicembre questo termine è stato utilizzato, dall’una e dall’altra parte.

Nel dibattito sulla riforma l’antifascismo non c’entrava nulla. Il referendum del 4 dicembre ha visto confrontarsi diverse visioni, ma non sul terreno della contrapposizione fascismo- antifascismo.

Lei ha sostenuto il No ma, alla luce dello stallo politico, col senno di poi quella riforma costituzionale avrebbe potuto evitare l’impasse odierna?

L’impasse nasce dai caratteri inediti del nostro sistema politico odierno. Modifiche puntuali anche ( ma non anzitutto) di singoli istituti della Costituzione, per una maggiore efficienza delle istituzioni, possono essere viste con favore se decise in modo unitario e concorde. Sono e rimango invece contrario al mito della “grande” riforma costituzionale, soprattutto se essa dovesse significare il superamento del terreno unitario della nostra Costituzione.

Servirebbe una nuova legge elettorale? L’Italicum è caduto sulla scorta del fallimento del sì al referendum.

La legge elettorale è un altro argomento, anche se nel caso della riforma del 2016 e del cosiddetto Italicum un nesso c’era nella visione. In ogni caso il punto è se e quale sistema elettorale, più o meno proporzionale o maggioritario, sia opportuno in presenza di un sistema politico che non è bipolare. Questo è il tema: quale sistema elettorale può funzionare bene in una realtà che si presenta oggi almeno tripolare, fermo restando che occorre che si formi una maggioranza?

Al Paese serve riformare le istituzioni?

Oggi il tema vero non sono certo le riforme costituzionali. I problemi del Paese non nascono dalla Costituzione, cui non ha senso imputare i mali del Paese, ma da questioni di metodo e di merito.

Quali?

Penso al fatto che da parte delle forze politiche si manifesta una tendenza a cercare il consenso inseguendo le paure che affiorano alla superficie della società e a proporre contrapposizioni pregiudiziali, invece che a cercare di costruire il consenso sulla base di obiettivi di giustizia, uguaglianza e progresso.

Con le dovute distanze storiche, il populismo ha i connotati di un fenomeno che ha a che vedere con il fascismo?

Il populismo è un’altra cosa: è il fenomeno per il quale la politica corre dietro agli umori e alle suggestioni affioranti nel popolo, traducendoli in consenso politico. All’opposto, la politica dovrebbe costruire il consenso sulla base di programmi di progresso sociale, e in questo senso il populismo è negativo per la società. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il fascismo o l’antifascismo, pur se nella storia i fascismi sono cresciuti anche a partire da atteggiamenti di questo genere. Ciò che va combattuto è soprattutto la rinuncia della politica a puntare ad obiettivi alti e a camminare verso nuovi traguardi di civiltà.