Un progetto di ricerca comune sull’applicazione delle leggi razziali nei confronti di avvocati e magistrati, «affinché non esista più un diritto diseguale» : è quanto annunciato martedì dal presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin e dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, nel corso della visita guidata al Museo della Shoah, dove è esposta la mostra “1938 – La storia”. Una delegazione del Cnf e del Csm ha visitato le stanze del museo, passando in rassegna, sotto la guida del curatore Marcello Pezzetti, documenti storici e fotografie che raccontano la promulgazione della legislazione antiebraica, nel suo ottantesimo anniversario. Uno sguardo su uno dei periodi più bui della storia, raccontato attraverso la narrazione della persecuzione degli ebrei in Italia e delle sue conseguenze nella vita scolastica, lavorativa e sociale. Una persecuzione che riguardò an- avvocati e magistrati, molti dei quali protagonisti della battaglia contro la follia fascista e che pagarono in prima persona le conseguenze del proprio impegno. Cnf e Csm, adesso, vogliono ricordare insieme quelle storie, attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro che si pone come obiettivo di raccontare il protagonismo di entrambe le professioni in quegli anni bui. Un lavoro che verrà poi riassunto in una pubblicazione che racconterà una storia a molti sconosciuta. «L’obiettivo – ha spiegato Legnini – è quello di concludere questo lavoro entro la fine della consiliatura, quindi entro settembre. Si tratta di un lavoro che finora non era mai stato fatto e che sicuramente anche dopo bisognerà proseguire».

Il lavoro rientra nell’ambito del protocollo firmato a luglio del 2016 tra Cnf e Csm e punta alla «realizzazione di azioni sinergiche che» in vista di un «miglioramento qualitativo dei servizi della giustizia», ma che nei fatti ha un valore simbolico persino più ambizioso, puntando dunque anche ad un processo di approfondimento culturale e storico, anche per evitare derive come quelle rappresentate dalle leggi razziali. «Probabilmente – ha sottolineato Mascherin – non si ripeterà più una tragedia del genere, però il diritto diseguale c’è ancora. Momenti come questo ci permettono di reagire ad un diritto diseguale che non riguarda più un razzismo come quello che ha colpito le comunità ebraiche, ma che permane e gli unici testimoni attendibili sono rappresentati da chi, come gli studiosi del Museo della Shoah, tiene viva la memoria. Non si rischierà di nuovo quello che è avvenuto allora, ma senza di loro si rischia di più, per cui siamo grati per il contributo e saremo sempre al loro fianco». A sottolineare l’importanza del tema giuridico è stato lo stesso presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia, che ha ricordato la controversa legge approvata in Polonia, che prevede pene, anche carcerarie e fino a tre anni, per chi “pubblicamente e contro i fatti” associ la nazione polacca all’Olocausto o parli di “campi della morte polacchi” per indicare quelli creati dai nazisti nel territorio occupato. «Una deriva legislativa imbarazzante», ha commentato Venezia, pur rimanendo d’accordo sul primo punto della legge, quello della definizione dei campi di concentramento come «campi nazisti in Polonia» e non «campi polacchi».