Quando è cominciata? Perché? Come contrastarla? Non si parla dell’ondata di criminalità che terrorizza e asserraglia nelle case i concittadini, protetti da porte blindate e sofisticati sistemi di sicurezza, sempre più spesso con la pistola a portata di mano. Quell’ondata rifluisce di anno in anno già di per sé, e giusto nel 2017 ha toccato il minimo storico: 355 omicidi. Nel 1991, quando si poteva girare per le strade senza incontrare quella gente arrivata da lontano che basta guardarla per sospettarla colma di pessime intenzioni, gli omicidi registrati erano 1901. Da allora il tasso non ha mai smesso di scendere progressivamente, accelerando la discesa negli ultimi tre anni.

Sul fronte dei furti e delle rapine la linea è più frastagliata. La discesa si è interrotta negli anni in cui la crisi ha martellato più forte per poi riprendere vigorosamente con un calo dei furti rispettivamente del 20,4% e del 23,4% negli ultimi 3 anni. Insomma, nel complesso l’Italia è uno dei paesi più sicuri d’Europa: su 27 Paesi della Ue in 18 ci sono più fondati motivi di timore, e anche il paragone con i Paesi in condizioni simili, come la Germania, è nettamente favorevole.

Quella che deve essere fermata, ma vai a capire come, non è l’insicurezza ma la percezione della stessa. Importa fino a un certo punto che una sensazione sia infondata e smentita dai dati se è in compenso radicata e crescente. Capita che da noi la percezione del pericolo sia inversamente proporzionale al pericolo stesso, e detti l’agenda della politica, influenzi le scelte elettorali, si alimenti da sola in una spirale viziosa e crescente.

Vale dunque davvero la pena di chiedersi quando è cominciata, quando i fantasmi hanno iniziato a rimpiazzare la realtà e la paura si è sostituita ai fatti. Una data, volendo, la si può rintracciare: il 1999, quando il governo presie- duto da Massimo D’Alema vota il primo “pacchetto sicurezza” con misure mirate a contrastare la microcriminalità. Il tasso di criminalità era già in picchiata, anche se lontano dal raggiungere gli attuali livelli raso terra. La “gente” però se ne rendeva conto fino a un certo punto. Troppi furtarelli, troppi scippi, troppi piccoli reati che, si sa, spaventano più delle ammazzatine perché colpiscono un po’ ovunque. Alla ministra degli Interni Rosa Russo Jervolino, che squadernava dati rassicuranti, pare che il premier coi baffetti rispondesse: «Uno scippo a Milano crea più insicurezza di tre omicidi in Sicilia».

La seconda tappa arrivò quasi dieci anni dopo, quando a Roma, il 30 ottobre 2007, Giovanna Reggiani, 47 anni, fu aggredita, stuprata e uccisa alla fermata della linea ferroviaria Tor di Quinto da un muratore rumeno. Il sindaco di Roma e leader del Pd Walter Veltroni organizzò una conferenza stampa sui due piedi, parlando con i cronisti nei giardinetti limitrofi alla stazione. Chiese, o più precisamente ordinò, una stretta sulla sicurezza. Il governo Prodi, con Giuliano Amato primo ministro, rispose a strettissimo giro con un decreto che facilitava le espulsioni degli stranieri, in particolari rumeni, già il giorno dopo. Il salto rispetto al “pacchetto” del 1999 era vistoso. Quello del governo D’Alema era un tentativo, un po’ sgangherato e molto provinciale, di agganciarsi alla fase aurea della “tolleranza zero” adottata dal sindaco di new York Rudy Giuliani negli anni ‘ 90. L’intemerata di Veltroni aveva un obiettivo preciso e chiamato per nome. Prendeva di mira apertamente “i romeni”. Legittimava di fatto la marea montante del panico da immigrazione che avrebbe travolto l’anno seguente sia la capitale, dove proprio grazie a una campagna elettorale centrata sulla sicurezza Alemanno sconfisse Rutelli, sia il Paese intero, con la vittoria della destra alle elezioni politiche.

Il nuovo ministro degli Interni, Bobo Maroni, non dimenticò a chi e a cosa doveva il trionfo elettorale del 2008. Il decreto che varò all’inizio del 2009, definito subito decreto anti- stupro, inaspriva le pene per stalking e violenza sessuale, ma introduceva anche le ronde, sia pure, bontà del ministro, disarmate. Il decreto, che la Corte costituzionale avrebbe parzialmente bocciato l’anno successivo proibendo le ronde “in situazioni di disagio sociale”, rafforzava drasticamente anche il potere dei sindaci. Da allora, per quasi dieci anni, una campagna sulla sicurezza sempre più apertamente sconfinate in guerra contro i poveri è stata gestita più dai sindaci e dalle amministrazioni locali, dunque con enormi differenze tra le varie città, che dal governo centrale. Quanto all’obiettivo dichiarato del decreto Maroni, basta guardare i dati attuali, che registrano 140 morti per questioni di famiglia sui 355 complessivi, per verificarne l’inefficacia. Sul fronte delle norme anti- stalker, altro capitolo saliente del pacchetto, in compenso è andata anche peggio: si è dimostrato del tutto inutile.

L’ultima svolta è arrivata con il duro del Pd, il ministro Minniti. Il decreto per la sicurezza e il decoro urbani del marzo 2017 riprende quasi alla lettera le basi del vecchio decreto Maroni. Aumenta ulteriormente i poteri dei sindaci. Concentra il fuoco non più sulla microcriminalità ma sul “decoro urbano” con una quantità di proibizioni destinate peraltro a restare quasi tutte lettera morta.

In fondo i pacchetti che da vent’anni puntualmente invocano più sicurezza in un paese tra i più sicuri del mondo hanno essenzialmente valenza propagandistica. E altrettanto probabilmente i governi che li varano e che sono perfettamente al corrente delle dimensioni reali del problema solo la propaganda hanno in mente. La logica furbesca è però miope: perché ognuno di quei decreti ha confermato la percezione errata della sicurezza, ha pavimentato la strada in discesa di un’emergenza irresolubile per il semplice fatto che non si può in alcun modo superare un’emergenza che non c’è.