Una selva di giornalisti lo ha aspettato un’ora e mezza, nella sala stampa del Nazareno. Prima, Matteo Renzi è rimasto arroccato con i fedelissimi in sala riunioni, per uscirne con un discorso che tutto sembra tranne un lacrimoso addio e che parla ai tanti convitati di pietra, avversari e anche colleghi di partito, che già sentivano l’odore del sangue dopo l’inabissamento sotto la soglia psicologica del 20%.

L’annuncio delle sue dimissioni - dato per certo - c’è stato, ma con più d’un distinguo e una sibillina precisazione: Renzi si è dimesso dalla segreteria del Partito Democratico, ma il congresso si aprirà dopo l’insediamento del Parlamento e la formazione del Governo. Tradotto: sarà lui a gestire la fase delle consultazioni. Per arrivare a questo, sarebbe intervenuta anche la moral suasion del Colle a bloccare l’addio immediato per aprire l’agone delle primarie in piena bufera da insediamento. E ancora, Renzi si è dimesso ma assicura che «il prossimo sarà un congresso risolutivo: lo dico con rispetto agli amici dirigenti del Pd, non ci sarà un reggente scelto da un caminetto ma un leader a pieno titolo». Fuor di metafora: non è del tutto escluso che Renzi si candidi di nuovo per la resa dei conti finale a Pesaro hanno preferito eleggere «contro ogni valutazione di merito, un grillino definito impresentabile dagli stessi 5 Stelle, che addirittura era in vacanza durante la campagna elettorale», invece di schierarsi con l’ex ministro Marco Minniti, «che ha fatto un lavoro straordinario e riconosciuto anche dagli avversari per risolvere il problema dell’immigrazione».

Poi passa oltre e si rivolge agli avversari. Sfida quelli esterni: «Mostrino il loro valore se ne sono capaci, noi non faremo mai accordi» e si erge a garante di un «impegno morale, politico e culturale» : nessun governo con gli estremisti, fatto di antipolitica, antieuropeismo e odio verbale. Porte chiuse, quindi, alla soluzione data per papabile in più d’una stanza dei bottoni: appoggio esterno ai grillini alla prova del governo. «Ci hanno detto che siamo corrotti, mafiosi e impresentabili. Fate un governo senza di noi, il nostro posto in questa legislatura è all’opposizione», scandisce Renzi, chiarendo il suo ruolo alle consultazioni delle prossime settimane. Si rivolge, però, anche agli avversari interni, con un avvertimento: «Il Pd è nato contro i caminetti ristretti e non è un luogo di confronto di gruppi dirigenti» che immaginano di trasformare il partito in stampella per inciuci di governi di forze antisistema.

Infine, in perfetto stile renziano, arriva il rilancio: «Nessuna fuga da parte mia, terminata la fase di governo io farò il senatore semplice. Riparto dal basso con umiltà, per recuperare il rapporto con le periferie». Insomma, Renzi lascia ma non si scansa e anzi rilancia le linee del suo programma di opposizione, contro «le forze antisistema», i «caminetti» e gli «inciuci». Ancora avanti tutta.