«Quando ero candidato sindaco a Milano il Pd mi accusava di essere romano, quale io sono, ora che sono candidato per la presidenza del Lazio dicono che sono un milanese calato a Roma…». Sorride Stefano Parisi, “pendolare” della politica. Ex di tanti incarichi, da city manager a Milano a direttore generale di Confindustria, torna il politico- manager, ora leader di Energie per l’Italia, richiamato in servizio quasi all’ultimo da Silvio Berlusconi e dal centrodestra. Rimettere a posto il Lazio e ristabilire «la netta distinzione tra i poteri dello Stato» in una regione e in un Paese, dove «la magistratura dilaga e una politica debole e molle piega la testa», sono le cose che più stanno a cuore all’ex socialista Parisi.

Dottor Parisi, dopo la sfida di Milano, dove ha sfiorato la vittoria, ora un’altra mission davvero difficile. Perché l’ha accettata?

Il Lazio è la mia terra e quindi l’opportunità di mettere a frutto l’esperienza di una vita per rimettere a posto questa regione che è veramente disastrata è il primo motivo. Il secondo è perché ho costruito un anno e mezzo fa un partito che si chiama Energie per l’Italia e credo che ci sia un momento in cui è necessario misurarsi sia con il consenso sia con il governo. Mi è sembrato realistico farlo nella mia regione. E quindi presenteremo le liste sia nel Lazio che in Lombardia per le regionali. Questa mia candidatura ancorché presentata un po’ in ritardo nella campagna elettorale è un giusto banco di prova. Spero nei prossimi cinque anni di poter dimostrare che si può rendere efficiente e moderna una regione anche così disastrata.

Intanto, gli avversari continuano a dire che lei è un “un milanese” calato a Roma.

Sono nato e ho vissuto tutta la vita a Roma. Poi, nel ’ 97 fui chiamato dal sindaco Gabriele Albertini al governo di Milano dove abbiamo fatto un grandissimo lavoro. Quell’esperienza oggi sono ben contento di riportarla nel Lazio. Io sono diventato noto all’opinione pubblica dopo le elezioni per il sindaco di Milano, dove mi ricordo che il Pd mi accusava di essere romano. Durante la campagna elettorale mi dicevano “il romano Parisi” oggi invece “il milanese Parisi”.

E proprio a Roma pochi sanno che lei iniziò a fare politica da leader dei giovani universitari del Psi e fu capo della segreteria tecnica di Gianni De Michelis, ministro del Lavoro, nel governo Craxi all’epoca del decreto di S. Valentino. Ora lei ha candidato nel Lazio con EpI gli ex socialisti Donato Robilotta ( ex assessore regionale e suo ex compagno d’Università) e Roberto Giuliano ( ex segretario della Fillea Cgil). Ritorno alle origini?

Robilotta e Giuliano hanno continuato a fare politica. Io smisi di fatto nell’ 82 quando iniziai a lavorare come tecnico. Loro mi portano un’amicizia fraterna e una grande conoscenza della politica che io non ho. Mi aiutano a essere presente sul territorio, in tutto il tessuto politico di questa regione. Robilotta è capolista a Roma e Giuliano nelle province di Latina, Viterbo, Rieti.

Pezzi importanti del riformismo socialista preferiscono allearsi con Berlusconi e il centrodestra. E non con il Pd. Può sembrare un paradosso. Come spiegarlo?

Dopo la caduta del muro di Berlino e soprattutto Mani pulite, è evidente che c’è stata una fortissima separazione tra una sinistra che si raccolse attorno all’ex partito comunista e una sinistra che invece si è raccolta attorno a Silvio Berlusconi perché ha fatto della giustizia, dell’antigiustizialismo una battaglia centrale.

Cosa pensa dell’indagine per omicidio colposo piovuta addosso al sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, candidato anche lui nel Lazio, in piena campagna elettorale?

Una delle malattie di questo Paese è che i giudici intervengono nelle campagne elettorali. Ormai siamo circondati dai giudici anche nella gestione amministrativa. Non c’è un atto che Nicola Zingaretti ( governatore uscente, candidato del Pd ndr) non abbia condiviso con il capo della Procura di Roma e con Raffaele Cantone ( capo dell’Anticorruzione ndr). E’ insomma una magistratura che entra a piedi uniti dentro il potere esecutivo. Noi dobbiamo rimettere a posto questo Paese ristabilendo la divisione netta tra potere esecutivo, giudiziario e legislativo. Questo è un dato di fatto, poi Pirozzi si difenderà nella sede giudiziaria. Dico solo che siamo un Paese malato con una magistratura che dilaga e una classe politica debole, molle che piega la testa e non è mai riuscita a ritrovare quell’ equilibrio tra i poteri dello Stato previsto dalla Costituzione.

Intanto, a Pirozzi viene attribuito quel 12 per cento che se lei, dato dai sondaggi tra il 22 e il 26 per cento, lo avesse avrebbe quasi già vinto.

Il 4 marzo si voteranno tre schede e chi vota per il centrodestra voterà allo stesso modo anche nel Lazio. Sono sondaggi che lasciano il tempo che trovano. Zingaretti era al 44 per cento dieci giorni fa e ora dopo che io sono entrato in campo è al 32. Adesso ha un avversario credibile, che sono io con un centrodestra unito alle spalle. E poi basta andare in giro per il Lazio per capire come questa regione stia molto peggio di cinque anni fa. Basta solo andare in un pronto soccorso per capire se la sanità è risanata o no. Questa autopropaganda che la sinistra fa è lontanissima dal sentimento dei cittadini. Sono convinto che il risultato sarà completamente diverso da quello dei sondaggi.

Lei potrebbe essere una risorsa come ministro in un futuro governo del centrodestra?

No, io sono segretario di Energie per l’Italia. Il mio obiettivo è ricostruire un rapporto di fiducia tra gli italiani e la politica. E quindi continuerò a lavorare nel territorio per costruire un’alternativa politica seria. Il problema non è la mia carriera politica. Io ora corro per fare grande questa regione. Finiti i cinque anni di governo, ne riparliamo.

Quale rapporto ha con Berlusconi dopo le frizioni che c’erano state contro di lei da parte della “nomenclatura azzurra”?

Con lui il rapporto è sempre stato buono. Mi sta sostenendo e sono contento che abbia voluto indicare me alla presidenza della regione.