«E certo, ho suggerito a Filippo Nogarin di fare un bel respiro profondo e di trovare un equilibrio interiore». Non è rassicurante. «No che non lo è», conviene Marta Vincenzi, «ma la realtà purtroppo è questa: attualmente la normativa su protezione civile e emergenze fa ricadere una responsabilità totale e irragionevole sui sindaci. Tutta su di loro, su di noi se penso che mi trovo a fronteggiare una situazione come questa. Credo che le forze politiche dovrebbero assumere un preciso impegno elettorale: dare attuazione alla legge delega di riordino della protezione civile da poco pubblicata in Gazzetta ufficiale. Un provvedimento quadro importante, se venisse completato con i contenuti che servono. A partire da una più sensata condivisione delle responsabilità di fronte a eventi meteo avversi».

Marta Vincenzi è il solo amministratore di una grande città ad aver già pagato il prezzo che ora si chiede al primo cittadino di Livorno. Proprio mente Nogarin è indagato per concorso in omicidio colposo plurimo, e chiede alla magistratura di «accertare le responsabilità», mentre oltre al primo cittadino la Procura accusa anche il comandante della polizia municipale Riccardo Pucciarelli della stessa ipotesi di reato, mentre insomma davanti ai suoi occhi si dipana una sequenza che ben conosce, l’ex sindaca di Genova solleva il nodo di una disciplina «figlia dell’abbrutimento e dell’ignoranza». Condannata in primo grado a 5 anni di carcere per omicidio colposo plurimo, disastro e altri reati relativi all’esondazione del torrente Ferreggiano che il 4 novembre 2011 provocò otto vittime a Genova, Vincenzi si è sempre considerata «innocente».

Il travaglio sarà inevitabile anche per Nogarin?

L’ho detto nell’intervista al Corriere della Sera. Le norme introdotte a metà degli anni Duemila lasciano pochi margini: sarà un iter giudiziario in salita. Nel mio caso son passati 6 anni e si è concluso solo il primo grado.

In Italia siamo sempre più a caccia del colpevole?

È il mood di questi anni: è un meccanismo di semplificazione. Ma più che sulla filosofia vorrei concentrarmi su questioni concrete.

Ovvero?

Le norme appunto. Vede, io no voglio entrare nel merito dell’indagine sul sindaco di Livorno, così come non intendo parlare del mio processo. Ma ci sono alcuni aspetti che ricorrono, in questo tipo di vicende giudiziarie: e dipendono dal meccanismo normativo di responsabilità nel sistema della protezione civile, che a un certo punto si inceppa.

Dove esattamente?

Nel libro che pubblicherò a marzo, per il quale siamo ormai in dirittura d’arrivo con l’editore, ricostruisco tutto. C’è stata una fase negli anni Novanta in cui la materia è stata regolata da interventi interessanti: la legge 225 del 1992 e le norme che definirono il cosiddetto metodo Augustus. Erano baste sul principio della collaborazione e della condivisione di responsabilità tra una pluralità di soggetti. Non solo i sindaci, dunque. Sulla base di quelle norme i Comuni avrebbero dovuto adottare i piani di emergenza.

E lo fecero?

Proprio perché non tutti li adottavano, e nessuno controllava, si è pensato bene di stravolgere la disciplina e di far ricadere tutta l’autorità, e di conseguenza la responsabilità nelle emergenze dovute a eventi meteo, sui soli sindaci. Secondo un meccanismo per cui se non ci sono vittime tutti hanno lavorato bene, in caso di tragedia è solo colpa del primo cittadino.

Irragionevole, in effetti.

Ci sono macchine organizzative complesse che richiederebbero ben altra modularità normativa. E invece il sistema spinge ormai i sindaci alla cosiddetta gestione difensiva: si eccede nelle misure, si chiude tutto. E col cavolo, mi scusi il francesismo, che si sviluppa la cosiddetta società della resilienza, cioè procedure che maturano dalle esperienze condivise di una pluralità di soggetti.

Perché il legislatore è stato così superficiale?

Sulla scia di un abbrutimento e di un’ignoranza in cui la politica è man mano scivolata. Qui non c’entra la logica del potere decentrato, del federalismo, ma del menefreghismo: se la vede il sindaco, son fatti suoi.

Crede davvero nell’attuazione della delega?

La legge dovrà essere riapprovata dal nuovo Parlamento, la delega cioè deve essere riaffermata in capo all’esecutivo che verrà. Sarebbe un tema assai più degno della campagna elettorale rispetto alle polemiche sul sindaco più o meno inadeguato, cinquestelle o di altro partito che sia.

Sulla base di quella legge le Procure devono per forza indagare i sindaci?

Sì, anche se in casi diversi dal mio, come quello delle Cinque terre che si verificò nello stesso periodo della tragedia di, alla fine non si è andati a processo. Però è sostanzialmente inevitabile che un sindaco sia indagato per omicidio colposo, in casi come quelli di Genova e Livorno.

Tornerà a fare politica?

No, ho 70 anni e come diciamo a Genova, ’ emo già deto, abbiamo già dato. Ma voglio comunque far conoscere le mie riflessioni su questi temi a chi la politica si appresta a farla. Peraltro non saprei con chi stare, non mi riconosco in nessuna proposta.

Certe norme rischiano di dissuadere le persone perbene dall’impegno pubblico?

Il rischio c’è. Poi c’è anche una strana legge per cui una persona perbene accetta di fare politica nonostante si debba essere davvero un po’ matti per non darsela a gambe.