«E’ un calza della befana, una norma inaspettata che ufficialmente nessun magistrato aveva chiesto», dice Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano e dal 2006 al 2010 componente del Consiglio superiore della magistratura, a proposito della legge che ha cancellato il divieto di un anno per i consiglieri uscenti prima di poter concorrere per un incarico direttivo.

Presidente Roia, su questa modifica legislativa negli ultimi giorni c’è stata tensione fra i suoi colleghi. Può dirci la sua opinione?

Ricordo molto bene quando venne introdotta la norma. Era il 2002 e il Governo decise di modificare la legge elettorale del Csm. Dopo le iniziali reazioni emotive che consideravano punitiva questa disposizione, tutti compresero che era necessaria.

Ci spieghi meglio.

Fare il consigliere del Csm deve essere un servizio e non una posizione di potere. Terminato il mandato si torna a svolgere le funzioni precedenti. La Costituzione, ricordo, prevede che i magistrati si distinguano solo per funzioni.

Ma in concreto, trattandosi di una norma che interesserebbe sui circa 10.000 magistrati in organico solo alcuni dei 16 consiglieri uscenti, qual è il problema?

Il problema è che questa norma ha un effetto deflagrante sull’intera magistratura. Le polemiche di questi giorni dimostrano che si sta verificando quello che è già accaduto per la politica. Chi presta servizio nelle istituzioni gode di sfiducia da parte chi lo ha eletto. Questa norma aumenta la diffidenza fra rappresentanti e rappresentati. Bisogna rinsaldare la rappresentanza per evitate che anche la magistratura diventi come la classe politica: completamente scollegata dalla società.

Non è un’ipocrisia vietare per un anno che il consigliere uscente possa concorrere per un direttivo?

Ci sono ragioni oggettive. Fino al 2002 alcuni posti non venivano messi a concorso a favore dei consiglieri uscenti.

Molti magistrati stigmatizzano i colleghi che hanno una “carriera parallela”. Prima la militanza in una corrente, poi un incarico nell’Anm, infine l’elezione al Csm...

Guardi, mi auto denuncio subito. Io sono stato segretario generale di Unicost prima di essere eletto al Csm. Posso dire ho avuto nella cor- rente il trampolino di lancio.

Non si è pentito?

Sul punto bisogna essere chiari. Non tutti sono in grado di fare tutto. Ci sono ottimi giuristi che non sono capaci di fare politica giudiziaria. L’attività associativa permette di acquisire delle esperienze importanti. Sempre, comunque, in un’ottica di servizio. Io penso sia legittimo coltivare questa propensione. Il problema è un altro.

Cioè?

E’ la legge elettorale del Csm che ha rafforzato il potere delle correnti introducendo il collegio unico nazionale.

Ci spieghi.

Per essere eletti al Csm è necessario che, ad esempio, io giudice di Milano venga votato dal collega di Catanzaro. Servono dai 500 ai 600 voti. Quindi, in teoria, anche se tutti i giudici del Palazzo di Giustizia di Milano mi votassero, i voti non sarebbero sufficienti. Ed ecco che scendono in campo le correnti.

Un giudice da solo non è in grado di farsi conoscere?

E’ impossibile per un magistrato, anche se stimato, essere eletto. Ci sono due modi: l’apparato di conoscenza delle correnti o la visibilità mediatica. Chi fa inchieste importati ha il nome che gira sui giornali ed è conosciuto a livello nazionale. Questo non va bene perché c’è il rischio di cercare a tutti i costi l’esposizione mediatica per tentare un’elezione importante come quella del Csm.

Soluzione?

Eliminare il collegio unico nazionale. E voglio aggiungere un elemento.

Prego.

Tutti praticano l’anticorrentismo. Come mai dal 2002 nessuno ha voluto modificare la legge elettorale del Csm?

Forse proprio perché fa comodo a tutti?

Appunto.

Primarie o sorteggio per la scelta dei componenti del Csm?

Sono favorevole alle primarie, di fatto una vera elezione, e sono totalmente contrario al sorteggio che ritengo giuridicamente irrazionale ed incomprensibile. Ripeto, non tutti hanno le medesime capacità. Io, ad esempio, sarei un pessimo giurista di Cassazione. Non è pensabile quindi che tutti possano essere in grado di svolgere la delicata funzione di consigliere del Csm.

Si torna sempre al punto di partenza. Un magistrato, a parte essere eletto al Csm, per fare carriera deve iscriversi ad una corrente. Questo giornale segue i lavori del Csm. Sono più unici che rari i casi di chi è diventato presidente di Tribunale o procuratore senza avere la tessera di una corrente.

Il problema è complesso. Non sempre si scrive nei pareri dei magistrati quello che andrebbe effettivamente scritto, soprattutto se si tratta di giudizi negativi...

Allora aveva ragione il presidente della Cassazione Giovanni Canzio quando diceva che in nessuna organizzazione complessa, come la magistratura, il 99.9% dei componenti ha un giudizio positivo?

Si. Questo produce un effetto obbligato. Se le fonti di conoscenza, i giudizi, sono sovrapponibili, alla fine il criterio di scelta diventa il rapporto diretto. Quindi verrà nominato nell’incarico il collega con il quale si sono avuti in precedenza dei rapporti e che si conosce, anche per la comune attività associativa.

Come si risolve il problema?

Con il coraggio. Bisognerebbe scrivere nei pareri dei giudizi obiettivi senza temere che scrivendo la verità si possa pregiudicare la carriera del collega.