La pizza, nel film di animazione del 2003 Totò Sapore, è un’invenzione che viene fatta assaggiare dai napoletani ai soldati borbonici e francesi e contribuisce, grazie alla sua bontà, a far ritornare la pace tra i due regni. Siamo nel XVIII secolo e la pizza e il popolo napoletano diventano un connubio che diventerà inscindibile con il passare degli anni. Da allora, a distanza di secoli, la pizza è il cibo più conosciuto e più imitato in tutto il mondo. Da ieri l’Arte dei Pizzaioli Napoletani è patrimonio mondiale dell’Umanità. Una decisione arrivata da Seul, dopo tre giorni di trattative, un risultato che non era affatto scontato.

Ad attenderlo insieme per tutta la notte alcuni dei pizzaioli storici della città: Gino Sorbillo, Ciro Oliva, Enzo Coccia, Antonio Starita. Quando hanno saputo che l’arte del pizzaiolo napoletano è stata inserita tra i beni immateriali dell’umanità, è esplosa la festa. «Dopo 300 anni l’arte del pizzaiolo napoletano è stata riconosciuta patrimonio Unesco - afferma Sorbillo - faremo sempre lo stesso lavoro, ma una identità maggiore. Questo riconoscimento è anche per i nostri nonni, i bisnonni». E Starita, uno dei nomi sinonimo di pizza a Napoli, con il suo locale nella stessa strada dove Vittorio De Sica girò L’oro di Napoli con Sophia Loren pizzaiola, commenta: «Adesso abbiamo il passaporto per il mondo per noi e per i nostri nipoti». Il più giovane tra i pizzaioli storici è Ciro Oliva, di Concettina ai Tre Santi: «Ho la pelle d’oca e mi vengono le lacrime agli occhi per la gioia se ci ripenso. La nostra arte è la nostra grande forza. Ringrazio i pizzaioli più anziani: è grazie a loro che oggi sono qui a fare festa».

Enzo Coccia, anima di Pizzaria La Notizia, è euforico: «Si tratta di un riconoscimento all’arte dei pizzaioli napoletani che io racchiudo in tre concetti: identità, tradizione e territorio. In questi anni sono riuscito a sdoganare la pizza di qualità, una battaglia sostenuta anche da Carlin Petrini di Slow Food. Avevo capito che bisognava puntare sui prodotti di qualità, mantenendo la tradizione delle famiglie di piazzaioli che tengono insieme il tessuto sociale. A Napoli nel 1807 c’erano 55 pizzerie e 16 friggitorie che permettevano a una città di circa 400mila abitanti di sfamarsi. Grazie ai miei sforzi nel 2010 ho ottenuto il riconoscimento della guida Michelin come prodotto d’eccellenza. Quando parliamo di pizza non dobbiamo dimenticare i numeri: 35mila pizzerie, 150mila addetti e un fatturato di oltre due miliardi e 300 milioni in tutt’Italia. Questo è un giorno importante per Napoli e la nostra pizza che diventa la punta di diamante nel mondo. È importante non mollare, ora che l’asticella della qualità è altissima. Lancio un messaggio a quanti vogliano esportare la nostra pizza nel mondo: ognuno deve diventare l’ambasciatore della nostra cultura e della tradizione che affonda le radici nei secoli. Tengo a chiarire che il riconoscimento dell’Unesco è alla nostra arte, fatta di gesti, parole e sguardi che hanno un’origine lontana».

Va chiarito, infatti, che questo riconoscimento dell’Unesco non è alla ricetta della pizza napoletana, ottenuto dall’Ue il 5 febbraio 2010, rigorosamente disciplinata dall’attestazione di specificità Stg ( specialità tradizionale garantita) che definisce le materie prime e le modalità di cottura, ma sono proprio la cultura e l’identità di chi ci lavora a essere tutelati dal riconoscimento dell’Unesco. Dal ‘ masto pizzaiuolo’, che insegna e tramanda la tradizione e sceglie i materiali per la lavorazione, al ‘ guaglione’ che apprende e realizza le pizze, fino al ‘ masto fornaio’, che sceglie la legna, controlla la temperatura del forno e gestisce le cotture con le diverse pale a disposizione, di legno e di ferro. Si trasmettono da generazioni le figure del rigoroso codice della preparazione della pizza.

Soddisfatto anche il ministro delle Politiche agricole, Enzo Martina: «È la prima volta che l’Unesco riconosce quale patrimonio dell’umanità un mestiere legato ad una delle più importanti produzioni alimentari, confermando come questa sia una delle più alte espressioni culturali del nostro Paese. È un’ottima notizia che lancia il 2018 come anno del Cibo. L’arte del pizzaiolo napoletano racchiude in sè il saper fare italiano costituito da esperienze, gesti e, soprattutto, conoscenze tradizionali che si tramandano da generazione in generazione» . Si tratta di una svolta epocale per la pizza napoletana, un riconoscimento che è «un attestato di qualità, creato nel corso dei secoli, e rappresenta l’intera comunità. Non è un marchio di certificazione», dice al Dubbio Luciano Pignataro, giornalista del Mattino di Napoli e gastronomo tra i più apprezzati, che con il suo blog ( www. lucianopignataro. it) segue da tanti anni l’enogastronomia, con un focus soprattutto su quella campana. «Questo risultato è stato ottenuto - continua Pignataro - anche grazie all’impegno delle Associazione Pizzaioli Napoletani e dell’Associazione Verace Pizza Napoletana che hanno puntato in questi anni, con grande senso di responsabilità, alla qualità e alla tradizione. La cosa importante è che le nuove generazioni di pizzaioli sono molto preparate e hanno una grande conoscenza tecnica, anche se hanno sofferto meno dei loro avi. Speriamo che questo ulteriore riconoscimento non venga trasformato in un’operazione commerciale che rischierebbe di sminuire il lavoro di tutti».