Ore 22.00: l’ultimo episodio della tua serie preferita termina con un cliffhanger pazzesco. Impossibile fermarsi lì, devi andare avanti, correre subito all’episodio successivo. E poi, in fondo, non è neanche così tardi, hai già fatto di peggio.

La stessa scena si ripete un’ora dopo, alle 23.00: altro fenomenale cliffhanger che ti lascia incollato allo schermo: sopravviverà Jack Bauer alle carceri cinesi? Frank Underwood diventerà presidente degli Stati Uniti? Chi salverà Walter White dai narcos messicani? La piccola “undici” batterà il viscido demogorgone?

Il divano intanto conserva la tua impronta, è diventato una seconda pelle, la tuta da sub delle tue immersioni. Puoi spostarti nel letto per accorciare i tempi e stare un po’ più comodo, ma la sostanza non cambia. Passi la mezzanotte, poi l’una, le due, è arrivi al punto di non ritorno, quello che i piloti di linea chiamano “velocità V1”: hai divorato quasi tutta la serie, tanto vale finirla.

Quando, verso l’alba, ti accorgi che non ci sono più episodi, che li hai mandati giù tutti come si scola una bottiglietta d’acqua nel deserto, che dovrai aspettare chissà quanti mesi per rivedere le gesta dei tuoi eroi virtuali, ti senti spaesato. E anche un po’ in colpa per quanto non lo ammetterai mai. Hai perso la nozione del tempo, in poche ore il tuo cervello ha zippato un’intera stagione, ha schiacciato una trama ricca di eventi e colpi di scena in un unico file mentale. Cosa ti rimarrà della visione?

Inizialmente ti sembrerà di dominare tutti i rivoli del racconto, di ricordare un’infinità di dettagli, ma in pochi giorni le trappole della memoria breve lasceranno sullo sfondo le tue certezze, una nebbia ricopre la sequenza degli eventi, i profili dei luoghi, persino i nomi dei personaggi. Tutto sfuma nell’indistinto, a volte si sovrappongono intrecci diversi perché i consumatori compulsivi difficilmente seguono una serie alla volta, il sacro fuoco della visione deve sempre essere acceso. I più alienati lo fanno per “stare sul pezzo”, per non perdersi l’ultimo meme postato dagli amici sui socialnetwork o per non subire il più feroce dei castighi che può colpire un’appassionato di serie televisive: lo spoiler! ( la rivelazione sulla trama) Questa particolare forma bulimia si chiama binge watching, una pandemia che affligge milioni di consumatori di serie tv.

Il termine è stato coniato negli anni 80 per indicare i partecipanti alle maratone televisive, ha acquistato consistenza nel decennio successivo con la comparsa dei cofanetti Dvd e ha trovato la sua totale consacrazione con l’avvento di Netflix, il gigante americano dei video on demand. Netflix ha addirittura adattato la sua programmazione a questo modello di consumo, rilasciando contemporaneamente intere stagioni delle sue serie più fortunate.

C’è anche chi, come Alex Soojung- Kim Pang autore dell’interessante saggio The Distraction Addiction, rivendica il binge watching definendolo una «connessione emotiva profonda» e una «radicale pratica di concentrazione autodeterminata», in netta antitesi alla frammentarietà delle interazioni con i nostri smartphone e tablet. Tesi suggestiva e anticonformista ma anche molto ottimistica.

Uscire dalla visione ininterrotta di una serie di 12 o più episodi è infatti un’esperienza alienante che risponde alla logica della gratificazione immediata, la stessa logica che pervade il nostro rapporto con la tecnologia in tutte le sue varianti, basti pensare a tutte le funzioni che può svolgere un telefonino o all’infernale e incessante sistema di notifiche che regola la nostra vita digitale. Per spezzare questo circolo vizioso forse bisognerebbe fare un passo indietro, ritrovare i tempi naturali del racconto, far “respirare” un colpo di scena, coltivare l’attesa, curare le pause, Davanti uno schermo ultrapiatto, come nella vita di tutti i giorni.