Toh, ma guarda un po’ chi si rivede: gli operai. Sì, proprio loro.

Sembrano schizzati via dalla tela di Pellizza da Volpedo con l’unica differenza che al posto delle giacche a tracolla hanno un bel badge: azzurro per i contrattualizzati, verde per i precari. Però fanno la stessa cosa dei loro antenati: marciano e scioperano per ottenere salari più alti e condizioni più eque. La protesta dei lavoratori di Castel San Giovanni a Piacenza, impiegati dal gruppo Amazon, il colosso di Seattle per la vendita on line, nel black friday, cioè il momento del picco delle vendite, ad alcuni è apparsa come un’intromissione diretta di reperti nel ‘ 900 nell’economia digitale 4.0 del terzo millennio. E come tale l’hanno trattata: il passato che, del tutto inopportunamente, insiste a voler resuscitare invece di acconciarsi ad esalare l’ultimo respiro. Poi una prece e addio per sempre.

Ma questo è macchiettismo: la vita sta da un’altra parte. Toh, ci sono ancora gli operai Chi voleva seppellirli, si ricreda

La verità, assai semplice per chi la vuole vedere, è che il pezzo di società più bistrattato e umiliato dalle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione senza regole nè limiti - che non è quello, o almeno non solo, che scortica l’esistenza stando sotto il livello ufficiale di povertà, bensì la moltitudine a cui è interdetta speranza e dignità e invece assegnata, come una camicia di forza, un’esistenziale prospettiva di precarietà - non ci sta, né potrebbe, ad essere sotterrato dalle leggi del profitto e della mano d’opera tendente al costo zero. E in Italia come all’estero - non a caso ieri scioperavano anche i lavoratori Amazon in Germania - fa quello che da sempre fanno i lavoratori: protestano per farsi sentire; per dimostrare, appunto, che sono vivi, persone e non ingranaggi di un meccanismo che li spreme per poi liberarsene.

Non c’è alcuna reminiscenza luddistica in questo atteggiamento. Nè il rifiuto della produzione, delle sue leggi e delle sue necessità, che vanno riconosciute e naturalmente tutelate. Nessuno spirito anti- industriale e neppure il recupero di qualche cascame ideologico. Tuttavia solo chi è in malafede può chiudere gli occhi di fronte al fatto che lo squilibrio sociale, la disuguaglianza, l’iniquità e la provvisorietà sono cresciute a dismisura nei Paesi sviluppati; mentre la forbice tra chi ha e chi no, tra chi è garantito e chi no, tra chi è “protetto” e chi no, si allarga a livelli siderali, fino a diventare irrecuperabile. I diritti, la loro salvaguardia, sono diventati espressione di una visione passatista del mondo e il risultato è che chi li reclama sente di non poter fare altro che strillare e inondare di vaffa ogni spicchio di possibile manifestazione di volontà, scambiando l’esasperazione con la cifra del confronto.

Invece no, non è per forza così. Esiste un’altra strada e i lavoratori, gli operai - si possono anche chiamare così, no? - di Amazon ce la mostrano. Ed è la strada della protesta condotta nell’alveo e con l’uso degli strumenti classici in mano ai prestatori d’opera.

Si tratta di un pezzo di società fatto di donne, di giovani, di ceto medio, che prima, inascoltato, invocava e adesso brutalmente reclama a più non posso un’adeguata rappresentanza sindacale e soprattutto politica. Qualcosa e qualcuno che non si limiti all’invettiva, all’insulto, alla denigrazione ma che abbia la pazienza, l’umiltà, la saggezza, la capacità, di trasferire rivendicazioni e richieste dal perimetro delle invocazioni a quello della pratica e delle norme a tutela. Che sappia fare politica, insomma, intesa nella maniera più giusta e migliore. Che non si vergogni di farla. Che abbia come bussola l’interesse collettivo e non solamente quello, tanto legittimo quanto fagocitante, di carattere privatistico.

E’ un segmento sociale, quasi sempre di consistenza maggioritaria, che non può essere seppellito nè misconosciuto. Può succedere, nei sistemi democratici, che sia rappresentato da forze estreme, radicali, sia a destra come a sinistra. La vicenda politica italiana ( limitiamoci a questa) è colma di tentativi di staccare la spina a quella rappresentanza, di inglobarla, con manovre e a volte perfino inghippi, in disegni di potere e di stabilizzazione, che mirano a bistrattarla bollandola come fuori dagli schemi e dalla “modernità”. Quei tentativi, qualunque leader li abbia incarnati, sono ogni volta falliti: e non certo a caso. Con i bisogni non si scherza; chi prova a farlo quasi sempre si fa male. Silenziare un’intera fetta della società è tentativo arduo, immaginare di espungerla è sciocco. I diritti vanno salvaguardati in un contesto lavorativo e sociale che è prefondamente mutato. Nessuno può credere di ripristinare guarentigie e rigidità che invece di aiutare l’occupazione la soffocano. Ma nessuno può allo stesso tempo credere che il rispetto della dignità del lavoro sia un abito da rimettere nel baule della storia, puntando a risparmiare perfino i soldi della naftalina.