Il parlamento siciliano non si è ancora insediato, ma già quattro deputati su settanta sono finiti sotto la lente d’inda- gine della procura. Dopo Cateno De Luca ( Udc), Riccardo Savona ( Fi) e Edy Tamajo ( Pd), l’ultimo della serie è il più giovane eletto dell’Assemblea- appena 21 anni- ha collezionato la cifra record di 17mila prefe- renze e, soprattutto, porta un nome pesante: Luigi Genovese, figlio di Francantonio, deputato forzista messinese ( eletto nelle fila del Pd ma passato a Forza Italia quando il suo partito votò per il suo arresto) condannato in primo grado a 11 anni per corruzione, nell’ambito dell’inchiesta sui “corsi d’oro” della formazione siciliana.

Sotto indagine è finita l’intera famiglia Genovese: il padre Francantonio, la madre Chiara Schirò e il figlio Luigi ma anche la sorella del deputato Rosalia Genovese e il nipote Marco Lampuri), i reati contestati vanno dal riciclaggio alla frode fiscale. La Guardia di Finanza di Messina ha proceduto all’esecuzione di un sequestro preventivo per circa 30 milioni di euro, tra conti all’estero, società, polizze e beni immobili tra Roma e la Sicilia. «Questo procedimento vede operare una dinastia, con tre generazioni implicate, di cui il primo indagabile ( teorico) è Luigi Genovese senior, in realtà deceduto», ha scritto il gip nel decreto in cui ha disposto il sequestro, riferendosi a Luigi Genovese, ex parlamentare dc dal 1972 al ‘ 94, il figlio Francantonio, deputato di Fi, e suo figlio Luigi, appena eletto all’Ars. L’indagine degli inquirenti è nata dalle verifiche sui redditi di Francantonio Genovese e gli accertamenti hanno dimostrato come il patrimonio di famiglia non sia compatibile con le entrate dichiarate. Di qui la contestazione di riciclaggio di denaro derivante da reato, ipotizzato in evasione fiscale. Genovese ha opposto il fatto che il denaro fosse del padre Luigi, 92 anni, ma a partire dal 2016 l’Agenzia delle Entrate ha notificato al capofamiglia avvisi di accertamento per oltre 25 milioni di euro. Le indagini hanno messo in luce una complessa attività di riciclaggio finalizzata anche a frodare il fisco, attraverso alcune società riconducibili alla famiglia e “costruite” - secondo l’ipotesi dell’accusa - per trasferire immobili e denaro ed eludere il pagamento di imposte e sanzioni amministrative. Gli inquirenti ipotizzano che la dinastia Genovese abbia usato la cosiddetta “tecnica dell’altalena”: per mettere al riparo 16 milioni di euro proventi di riciclaggio, dapprima è stata deliberata la riduzione del capitale sociale delle società di cui Francantonio era titolare, per far fronte alle perdite artificiosamente generate dagli stessi indagati. Successivamente è stato disposto il ripianamento dei conti attraverso un nuovo versamento di capitale a carico dei soci ma, anziché provvedere in prima persona, Genovese senior ha dichiarato di rinunciare alla qualità di socio per mancanza dei fondi necessari, permettendo così l’ingresso ex novo del figlio Luigi. In questo modo sono stati vanificati gli effetti del pignoramento sulle sue quote effettuato da Riscossione Sicilia. A fortificare la tesi del trasferimento con finalità illecite, gli inquirenti hanno addotto il fatto che Luigi abbis versato la propria quota di capitale sociale per subentrare nelle s. r. l. con denaro ricevuto dal padre tramite bonifico pochi giorni prima.

Quanto alla posizione del giovanissimo deputato dell’Ars, il gip lo ha definito «l’erede designato a raccogliere l’eredità» di un impero economico che «si caratterizza oramai per illiceità e reati», «non un mero beneficiario, ma agendo con gli stessi comportamenti dello stesso livello del padre e con alta proiezione di rischio di reiterazione». Luigi Genovese, infatti, sarebbe «co- amministratore e prestanome- beneficiario dell’operazione» e avrebbe agito con «elevata consapevolezza dell’illiceità delle operazione» e con il «ruolo di successore del patrimonio».

Genovese jr., subito dopo il sequestro, si è detto «certo di dimostrare la linearità e la regolarità della condotta mia e dei miei congiunti» e ha rifiutato una lettura complottistica dell’iniziativa della magistratura messinese. «Anche se la tempistica di questo provvedimento può apparire sospetta, voglio credere che non vi sia alcuna connessione con la mia recente elezione all’Ars», ha detto Luigi, al quale ha fatto eco il legale della famiglia, Nino Favazzo: «Senza voler immaginare scenari ' complottistici', di certo colpisce la tempistica del provvedimento che, in relazione ad una notizia di reato risalente a circa tre anni addietro».