«Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci riusciranno nemmeno stavolta. Qui non si molla di un centimetro». Dopo la sconfitta siciliana Matteo Renzi avverte l’assedio che giorno dopo giorno circonda la sua leadership fuori e dentro le mura del Nazareno. Ora il rottamatore teme le macerie. E rilancia: «Non abbiamo veti verso nessuno, noi», dice Renzi. «Possiamo raggiungere, insieme ai nostri compagni di viaggio, la percentuale che abbiamo preso nelle due volte in cui io ho guidato la campagna elettorale: il 40 per cento». Ma nel Pd sono in tanti a chiedergli di rinunciare a presentarsi come capo della coalizione, a partire da Franceschini. Intanto, a sinistra, Mdp lancia il progetto unitario con Sinistra italiana e Possibile, autonomo dal Nazareno. E c’è già un leader: Pietro Grasso.

«Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci riusciranno nemmeno stavolta. Qui non si molla di un centimetro». Dopo la sconfitta siciliana Matteo Renzi avverte l’assedio che giorno dopo giorno circonda la sua leadership fuori e dentro le mura del Nazareno. Ora il rottamatore teme le macerie. In troppi dentro il Pd mettono in discussione il suo ruolo e chiedono mezzi passi indietro per ricostruire il centrosinistra dopo l’ennesimo tracollo elettorale. Rinunci a presentarsi agli elettori come candidato premier di una fantomatica coalizione che al momento non esiste, è il consiglio che in tanti sussurrano, e reciti esclusivamente il ruolo del leader del Pd. Il fuoco amico arriva di prima mattina leggendo i giornali. Sul Corriere della Sera Dario Franceschini apre le danze: «Renzi è il leader del Pd. E lui per primo oggi dice che non si impone come candidato di una coalizione. D’altronde la nuova legge elettorale prevede solo il capo della lista. E allora perché accapigliarsi su un tema che non esiste?», dice uno degli azionisti di maggioranza del renzismo. Il modello da seguire per il centrosinistra, secondo il ministro dei Beni culturali, è quello indicato dal vincitore delle Regionali siciliane: Sil- vio Berlusconi. Il nuovo centrodestra si fonda sulla competizione. «I partiti che ne fanno parte non avranno un candidato premier comune. I leader si mostrano litigiosi nella contesa del primato e continueranno a farlo: parlano a elettorati diversi, si sfidano tra loro. Ma questa sfida resta nel perimetro dell’alleanza. E alla fine i voti li sommano, non li sottraggono all’alleanza» . Franceschini suggerisce al segretario di lavorare trovare un minimo comun denominatore tra Pd, centristi e sinistra per non rischiare di rimanere fuori dai giochi. Renzi sa che nel suo partito già circolano i nomi dei papabili presidenti del Consiglio alternativi: Paolo Gentiloni e Marco Minniti, in testa e coglie subito la potenzialità ostile del messaggio. Il segretario risponde al ministro in tarda mattinata, attraverso la sua enews: «Già oggi siamo in coalizione. E siamo pronti ad allargare ancora al centro e alla nostra sinistra», chiarisce l’ex premier. «Condivido a questo proposito le riflessioni di Dario Franceschini oggi al Corriere.

Le cose che abbiamo fatto al Governo in questi anni hanno fatto uscire l’Italia dalla crisi, sia nel settore economico che in quello dei diritti. Se qualcuno ha idee migliori, le ascoltiamo volentieri».

Lo scoglio maggiore rimane l’isolamento del Pd di cui Renzi viene ritenuto responsabile. Quella siciliana è solo l’ultima di una lunga serie di sconfitte che - fatta eccezione per le Europee del 2014 - hanno caratterizzato la leadership toscana del partito: dalle Amministrative al referendum, passando per le Regionali. In mezzo, una scissione che ha indebolito ulteriormente la spinta democratica e favorito un progetto alternativo a quello dem attorno alla figura di Piero Grasso. Quasi tutti adesso nel Pd segnalano l’urgenza di un cambio di marcia in vista delle Politiche. Il tempo a disposizione ormai è poco, visto che il Quirinale si affrettato a smentire e bollare come «pura fantasia» le indiscrezioni secondo cui Mattarella si sarebbe accordato con esponenti di partito per sciogliere le Camere a marzo, rinviando il voto a maggio. Serve dunque uno sforzo immediato per costruire un’alleanza «più ampia possibile, con un programma concordato», dice in mattinata il capo dei deputati Ettore Rosato che poi a sorpresa aggiunge: «Abbiamo Paolo Gentiloni che oggi è a Palazzo Chigi ed è un nome spendibile. Ce ne sono tanti di nomi spendibili e Renzi lo ha detto chiaramente a Napoli: lavoro per portare il Pd a Palazzo Chigi e non per portare Matteo Renzi». Parole che fanno sobbalzare il quartier generale dem. Tanto che poco dopo, a Montecitorio, l’esponente renziano precisa: «Nel nostro partito ci sono per fortuna più personalità capaci di assumersi grandi responsabilità. Gentiloni è sicuramente una di queste, lo dimostra con il suo lavoro. Il candidato del Pd resta Renzi, legittimato dalle primarie».

E se anche a Rosato sfugge qualche parola di troppo significa che il segretario deve correre subito ai ripari. «Non abbiamo veti verso nessuno, noi», dice Renzi. «Possiamo raggiungere, insieme ai nostri compagni di viaggio, la percentuale che abbiamo preso nelle due volte in cui io ho guidato la campagna elettorale: il 40 per cento».