In Medio Oriente c’è un nuovo mattatore, un giovane uomo di 32 anni di cui si sentirà molto parlare nei prossimi tempi. Mohammed Bin Salman, capo delle forze armate e principe ereditario dell’Arabia saudita, sta bruciando tutte le tappe, sospinto da un’ambizione sfrenata, da un’impazienza congenita e dalla profonda volontà di cambiare radicalmente il volto della monarchia wahaabita.

Per farlo non ha esitato a purgare rivali e avversari interni. Come lo scorso fine settimana, quando ha istituito una Commissione anticorruzione che nello spazio di qualche ora ha messo agli arresti 11 principi, quattro ministri e decine di ex ministri e uomini di affari. Tra loro i responsabili della Guardia nazionale e della Marina e l’ultramiliardario Walid Ben Talal, nipote del defunto re Abdallah e proprietario della tentacolare Kingdom Holding Company. Una retata in grande stile per consolidare il suo già enorme potere, salutata persino dal presidente Usa Donald Trump che proprio ieri in un tweet sosteneva con veemenza le purghe del principe: «Ho una totale fiducia in Salman, lui sa quel che sta facendo, le persone arrestate hanno sfruttato e munto il loro paese per tanti anni».

L’endorsement trumpiano è solo l’ultima tappa di un’ascesa folgorante, a cominciare dalla nomina al trono lo scorso luglio che storicamente si trasmette tra fratelli e fratellastri. Re Salman al Saud, colpito e anche un po’ stordito dal carisma di quel ragazzo spregiudicato, ha trasgredito la consuetudine, facendo fuori il grigio ministro dell’Interno Mohammed Bin Nayef, in teoria primo in linea di successione e issando al vertice il figlio della sua terza sposa, Fadah, la sua preferita.

In pochi mesi Bin Salman ha stupito il mondo con il suo attivismo sfrenato e le sue svolte culturali, fino ad allora impensabili in una nazione dove vige la più rigida interpretazione della legge coranica: è grazie a lui che è caduto il tabù ( unico al mondo) del divieto di guida per le donne, è stato sempre lui ad aprire gli stadi al pubblico femminile tra le proteste degli ambienti fondamentalisti e a ridurre l’invadenza e il controllo sociale della polizia religiosa che oggi non può più arrestare i cittadini, ma solo segnalare i loro comportamenti «non confromi alla Sharia». Ha anche rafforzato i controlli sui predicatori più radicali, sanzionando le invettive sessiste e sprezzanti nei confronti delle donne e degli «infedeli» ; almeno mille imam hanno ricevuto negli ultimi il divieto assoluto o temporaneo di predica.

Amante della Coca Cola, delle Ferrari, delle borse Louis Vuittion e dei viaggi in Occidente, si dichiara fautore di un Islam «aperto, tollerante, pacificato» e afferma di voler «distruggere l’estremismo». In patria come all’estero, dove gli avversari sono identificati nella corrente Fratelli musulmani, nemici naturali dell’Arabia allo stesso titolo dell’odiata repubblica sciita iraniana. In questo non è dissimile dai suoi predecessori.

Non si presenta come un intellettuale (ha una laurea breve in diritto) ma è abbastanza perspicace per capire e accompagnare le evoluzioni che stanno avvenendo in una società dove il 70% della popolazione ha meno di 30 anni, una maggioranza totalmente ignorata dalla casta politico- religiosa che governa il paese in una torre d’avorio. Ben Salam è stato l’unico tra i dignitari della casa reale a scendere da quella torre e a rivolgersi alle nuove generazioni, promettendo una stagione di eccezionali riforme e accreditandosi come il solo uomo in grado di portarle a termine. Il che non è falso.

I suoi detrattori lo chiamano «mister everything», mister tutto, per la tendenza ad accumulare cariche e funzioni: ministro della Difesa, vice primo ministro, consigliere speciale della casa reale, capo delle forze dell’ordine, supervisore dei servizi segreti, grande riformatore dell’economia in un paese che galleggia da un secolo sul fiume tranquillo di petrodollari. Già, l’economia: Ben Salman ha annunciato di voler creare il più grande fondo di investimenti planetario, un colosso da oltre 2mila miliardi, più del valore di Microsoft, Google e Apple messe insieme, una fortuna con cui sogna di comprarsi parte dei luccicanti mercati occidentali.

Ma come abbiamo visto, il modernismo culturale si accompagna a una concezione accentratrice e autoritaria del potere, per realizzare le sue riforme ( e le sue ambizioni) ha dimostrato di non fermarsi davanti a nessuno e a utilizzare tutti gli strumenti della repressione: anche in questo non è diverso dei precedenti membri della famiglia reale o dai tanti avversari messi in un angolo senza troppi scrupoli.

Riuscirà Mohammed Bin Salman a compiere la sua rivoluzione? Anche questa è una domanda da 2mila miliardi di dollari.