Due milioni di euro per lavorare in tre centri di detenzione per migranti in Libia: Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura. È quanto ha stanziato il governo italiano tramite il Ministero degli Esteri per un bando rivolto alle ong italiane che ieri (7 novembre) si sono riunite presso la sede della AICS (Agenzia della Cooperazione Italiana ovvero Ministero degli Esteri) a Tunisi. Il bando che sarà pubblicato a breve dovrebbe essere il primo di tre per arrivare alla cifra di 6 milioni di euro. “Questo bando rientra nella politica che sta portando avanti l'Italia e in particolare il Ministro Minniti ormai da mesi per bloccare il più possibile lo spostamento di migranti dall'Africa subsahariana e dal Sahel fino alle coste nord della Libia e ovviamente all'Italia – spiega Andrea Dessì dello IAI (Istituto Affari Internazionali) – l'Italia del resto è stata lasciata praticamente sola dall'Europa per quanto riguarda l'arrivo dei migranti sulle coste europee, quindi ha deciso di andare avanti su due fronti principalmente: l'accordo con le tribù del sud, sudovest della Libia e l'addestramento della Guardia Costiera Libica”. Lavorare nei centri di detenzione sarebbe però una novità ed è stato visto da molti nel mondo della cooperazione internazionale come una "proposta indecente". La rete di ong Concord Italia, e  Intersos hanno spiegato che, viste le condizioni pessime in cui vivono gli ospiti nei centri libici, se anche si riuscisse a migliorare la loro condizione con interventi sul posto, si contribuirebbe al loro mantenimento. Altre sono più possibiliste anche se perplesse. “Il problema è che ci devono essere le condizioni non solo di sicurezza ma anche di fattibilità – dice Attilio Ascani, direttore di Focsiv – sia per la corruzione che per il contesto che non ci pare controllabile. Senza contare che stanziare 2 milioni su un potenziale che va dai 500 agli 800 mila di migranti in Libia è un tozzo di pane rispetto al bisogno”. “Vorremmo che l'Italia usasse l'influenza che ha portato al blocco delle partenze  dalla Libia – conclude – per arrivare alla chiusura dei centri e l'apertura di campi sotto l'edida dell'ONU”.La Libia però non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione internazionale quindi non concepisce proprio l'esistenza dei rifugiati o dei richiedenti asilo. Per Tripoli sono tutti immigrati clandestini. Dall'altra parte l'UNHCR vorrebbe costruire dei campi dove chi è in possesso dei requisiti possa fare richiesta di asilo politico e chi vuole invece possa essere rimpatriato dall'IOM. Lo scorso 9 ottobre per l'appunto l'ONU ha scoperto a Sabratha, città sulla costa nord, un hub di traffico di esseri umani con migliaia di migranti tenuti in campi informali e in case private (le cifre variano dai 14 ai 20 mila). Alcune migliaia di questi erano fuggiti a piedi seguendo la costa verso ovest perché da un mese Sabratha era terreno di scontro tra alcune milizie locali che ne pretendevano il controllo. Evidentemente il business faceva gola a più parti. “Immagino che il motivo per cui l'Italia ha deciso di coinvolgere la società civile nel lavoro nei centri – continua Dessì – abbia origine dalle molte inchieste giornalistiche e di organizzazioni internazionali che hanno svelato il livello disumano di trattamento dei migranti in questi centri. Con questo bando l'Italia vuol far vedere che sta facendo di tutto per cambiare questo stato di cose”. Altri 2 milioni e mezzo del resto saranno dati alla Guardia Costiera libica per la rimessa in efficienza di 4 motovedette, forniture di ricambio, traino di una delle motovedette a Biserta (Tunisia) dove saranno effettuati i lavori, addestramento di 22 membri dell'equipaggio libici sempre a Biserta (fonte ASGI). Ma anche su questo l'accordo con la Libia inizia a mostrare la corda: è di tre giorni fa la notizia della morte di cinque migranti tra cui un bambino e un altro bambino sarebbe disperso nel corso del tentativo del salvataggio fatto al largo delle coste libiche di un gommone con decine di migranti. L'ong afferma di aver ricevuto la segnalazione dalla centrale operativa della Guardia Costiera di Roma ma di essersi trovata davanti una motovedetta della guardia costiera libica che cercava da una parte di mandare via la nave della Sea Watch e dall'altra di trattenere i migranti che non volevano essere salvati dai libici ma da loro. I tedeschi denunciano  un comportamento "violento e sconsiderato" della Guardia Costiera libica, che sarebbe intervenuta in acque internazionali. La Marina libica da parte sua afferma che l'arrivo della ong avrebbe provocato il caos. A fine agosto altre critiche hanno preso di mira la strategia di contenimento dei migranti. Secondo un'inchiesta dell'Associated Press, smentita dal governo italiano, Roma avrebbe preso accordi con due potenti milizie di Sabratha che sarebbero passati da trafficanti di esseri umani a controllori dei flussi. Il New York Times e il Washington Post a fine settembre hanno criticato in due articoli diversi la strategia italiana in Libia. Rafforzare le milizie dice il Washington post non aiuta la stabilizzazione del paese, al contrario. Cosa vuol dire dunque mandare le ong italiane a lavorare nei centri che tutti sanno disumani? Un aiuto concreto ai migranti o una pezza calda sulle nostre coscienze?