Enrico Berlinguer, il 15 dicembre del 1981, dichiarò la fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre. Erano passati 64 anni dalla caduta del “palazzo d’Inverno” e dalla presa del potere da parte di Lenin e dei bolscevichi.

Berlinguer si riferiva alla stretta autoritaria in Polonia, voluta dai russi, che seguiva l’invasione sovietica dell’Afghanistan, avvenuta due anni prima, e la repressione di 13 anni prima in Cecoslovacchia e molti altri episodi simili. Probabilmente però Berlinguer si riferiva anche a qualcos’altro: la svolta in atto in Occidente con la strategia del reaganismo e del thatcherismo che prendeva il posto della strategia socialdemocratica europea, e del New Deal di Roosevelt, e della nuova frontiera di Kennedy e della Great Society di Jonhson. Il mondo era entrato nell’epoca del neoliberismo, che poi è l’epoca nella quale stiamo ancora vivendo. La vittoria del neoliberismo decretava la fine dell’egemonia comunista. E modifi-cava tutti i termini della lotta politica.

Il discorso di Berlinguer, in televisione - rispondendo alla domanda di un giornalista del Messaggero, Sergio Turone – precedeva di quattro anni la svolta di Gorbaciov e di otto la caduta e la fine del comunismo. Non si può negare una capacità di intuizione e anche di analisi notevole, che sorreggeva questa presa di posizione del capo del Pci.

Ma la spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre era realmente esistita? Io credo di sì. E non penso che per riconoscerla sia necessario negare, o attenuare, gli orrori del comunismo, e non solo dello stalinismo. Né che in alcun modo riflettere su questa spinta possa giustificare la crudeltà e l’ampiezza del fenomeno dittatoriale. Il leninismo, lo stalinismo, il maoismo, e le loro ricadute ( Pol Pot, Ceaucescu, Deng, i vari Kim che si sono succeduti) sono sicuramente responsabili di stragi devastanti, di persecuzioni, di infamie tra le più gravi della storia dell’umanità, forse inferiori solo all’Olocausto nazifascista. Ma non è un giudizio storico o etico su quest’aspetto cupo e sanguinario del comunismo, figlio di quella rivoluzione, a poter cambiare il giudizio sulla spinta propulsiva. La rivoluzione d’ottobre, che fu la realizzazione, più o meno rozza, della teoria marxista, modifica il rapporto tra economia e giustizia sociale in tutto il mondo, e soprattutto nel mondo occidentale. Non solo in Russia: non tanto in Russia. E lo modifica per un periodo di lunga durata: circa 70 anni. Io mi pongo questa domanda: cosa sarebbe oggi il capitalismo nel quale viviamo se non ci fossero stati il rooseveltismo e la socialdemocrazia? E poi mi pongo questa seconda domanda: in che misura la socialdemocrazia e poi la corrente politica liberal americana, sono state influenzate dal comunismo, dalle sue teorie, persino dai suoi successi storici?

Credo che nessuno possa rispondere immaginandosi un capitalismo che si sviluppava in modo autonomo, senza essere influenzato dalla spinta della rivoluzione d’ottobre. Quella spinta, e il messaggio ideale ( o ideologico) che portava con sé, avviluppò e condizionò l’intera politica mondiale, ed ebbe una influenza fortissima nell’orientare il liberismo e il riformismo fino all’avvento di Reagan.

La guerra fredda certamente fu una lotta molto dura tra le due grandi potenze e tra le due opzioni politiche che erano in campo. E anche tra i due grandi valori che portavano: da una parte la libertà, dall’altra l’uguaglianza. I motivi per i quali quella guerra fu vinta in modo clamoroso e inequivocabile dal liberismo, sono tanti. Ma uno di essi sicuramente è la differenza nel modo con il quale i due “campi” si misurarono con l’avversario e con le sue idee. Il campo comunista non solo rifiutò di imitare l’occidente del suo culto della libertà ( e della democrazia, che ne è una conseguenza), ma si chiuse ancor di più, finì per considerare la libertà il vero nemico del socialismo e dell’uguaglianza. L’occidente fece esattamente il contrario: si aprì ed entrò in competizione con il comunismo proprio sul suo terreno: quello delle politiche che tendevano a ridurre le diseguaglianze e a combattere le povertà. Non solo il riformismo europeo e americano fu profondamente influenzato dalla spinta della rivoluzione d’ottobre, ma lo stesso capitalismo ne fu fortemente condizionato e modificò su molti aspetti la sua stessa natura. E allora mi pongo un’altra domanda: quanto c’entra la crisi verticale della socialdemocrazia, e in genere della sinistra, in tutto l’Occidente, con la fine del comunismo? Io credo che c’entri molto. Perché la sinistra riformista aveva costruito se stessa come variante democratica del comunismo. La fine del comunismo l’ha lasciata senza punti di riferimento e senza la capacità di reimmaginarsi, di costruire una nuova prospettiva.

Per questo non ho mai creduto che si possano mettere sullo stesso piano la rivoluzione d’ottobre e il fascismo, o il nazismo. Non perché ci siano grandi differenze nella furia totalitaria e nella ferocia dei massacri. Ma perché mi pare che sia sbagliato mettere sullo stesso piano un movimento puramente reazionario e violento, privo di una strategia, di una visione - di una utopia – come fu il nazismo, con un gigantesco fenomeno rivoluzionario, fallito, ma ricco di esperienze, d’idee, di possibilità.