Sono passate da poco le cinque del pomeriggio quando il presidente del Senato Pietro Grasso dà lettura della missiva con cui il Capo dello Stato Sergio Mattarella spiega perché ha deciso di rinviare alle Camere la legge sulle mine antiuomo. La circostanza, oltre a segnare l’addio a una norma che infliggeva sanzioni troppo lievi a chi finanzia quel tipo di armi, prolunga di qualche minuto l’attesa sugli “stralci” dal ddl Stabilità. Pochi istanti e alla seconda carica dello Stato tocca quindi confermare quanto emerso la mattina: le norme sull’equo compenso agli avvocati sono tra quelle escluse dalla Manovra. Grasso non può far altro che disporre secondo quanto indicato nel parere proposto poche ore prima dal presidente della commissione Bilancio Giorgio Tonini e approvato dagli altri senatori che la compongono: l’equità del compenso nelle prestazioni legali è una disciplina di carattere «ordinamentale» e non «finanziario», e per questo, secondo Tonini, non può restare nella legge di Stabilità.

Una battuta d’arresto per un provvedimento molto atteso dall’avvocatura, concepito per riequilibrare il rapporto tra professione legale e “committenti forti”: banche, assicurazioni e grandi imprese. Stop temporaneo ma imprevisto considerato che l’intero governo si era mobilitato per assicurare un iter rapido alla nuova disciplina. L’attesa del mondo forense è ora rivolta verso Montecitorio, dove è incardinato il ddl ordinario che contiene le stesse misure previste, fino a ieri pomeriggio, all’articolo 99 della Manovra. Entro la prossima settimana la commissione Giustizia della Camera voterà il mandato al relatore Giuseppe Berretta ( Pd). Poi toccherà alla conferenza dei capigruppo fissare una data per la discussione in Aula. Il ddl sull’equo compenso, varato dal Consiglio dei ministri su proposta del guardasigilli Andrea Orlando, dovrebbe essere approvato entro il mese di novembre. Il vero ingorgo è però proprio a Palazzo Madama, dove la fila dei provvedimenti in attesa dell’ultimo sì è tutt’altro che agile.

La valutazione di inammissibilità espressa da Tonini non è irreversibile, nel senso che Montecitorio potrebbe modificarla. Ma a prescindere dai dettagli sul doppio iter dell’equo compenso, è il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin a dirsi ottimista. In una nota diffusa pochi minuti dopo la notizia dello “stralcio” ( e riportata integralmente nella prima pagina del giornale, ndr) , il vertice dell’organo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura dichiara: «Così come sono convinto dell’importanza del principio, e consapevole delle resistenze che suscita, sono consapevole anche del fatto che stavolta la politica non starà dalla parte dei poteri forti: sceglierà di stare dalla parte della dignità del lavoratore, qual è anche l’avvocato, e porterà a termine l’obiettivo, in nome del quale il governo aveva fortemente voluto l’inserimento delle norme sull’equo compenso nel ddl Stabilità». Mascherin ricorda «l’impegno dell’intero esecutivo, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando alla sottosegretaria alla Presidenza Maria Elena Boschi e al premier Paolo Gentiloni, e del segretario del Pd Matteo Renzi che ha espresso un giudizio favorevole sul provvedimento». E poi aggiunge: «È importante ora che tutta l’avvocatura, compatta e determinata, spinga verso l’approvazione delle norme sull’equo compenso, che hanno un significato epocale per il riequilibrio nel rapporto tra mercato e diritti».

Giorgio Tonini è la figura che spiazza persino il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. È lui a presentarsi in mattinata in commissione Bilancio e ad annunciare: «Ho fatto una valutazione con gli uffici e rilevato come alcuni articoli della legge di Bilancio contengano previsioni di carattere ordinamentale: propongo di non mantenerli nel testo». L’asserita scientificità delle ragioni argomentate dal senatore trentino chiude la storia: il parere di non ammissibilità viene votato. Quando Grasso si trova a darne conto all’Aula non può che confermarlo: sugli “stralci” della Manovra, non si ricordano precedenti disposizioni del vertice di Palazzo Madama espressi in difformità dalla quinta commissione. «Ma il tema dell’equo compenso va affrontato», dichiara uno dei senatori della “Bilancio”, Andrea Mandelli di FI, «anche se la legislatura è prossima alla fine questa deve essere una priorità». Oltre all’articolo 99 che riguarda gli avvocati, cade quello su limiti all’opponibilità dei decreti ingiuntivi e velocizzazione delle procedure esecutive. Non ammnessi anche il passaggio sulla cybersecurity e le modifiche al processo amministrativo previste all’articolo 89, che riguarda l’asta per le frequenze “5G”. Sulla dignità della professione forense dovrà ora pronunciarsi la Camera.