I figli nati in una famiglia mafiosa devono essere equiparati a quelli nati in famiglie dove i genitori hanno problemi di alcolismo o tossicodipendenza. Ed è pertanto necessario procedere con provvedimenti giudiziari che comportino la decadenza della patria potestà e il successivo allontanamento del minore dalla residenza familiare, con il suo affido ad una struttura che consenta di crescere in un contesto idoneo per l’età. E’ questo il contenuto della risoluzione che il Plenum del Consiglio superiore della magistratura sta discutendo su iniziativa dei consiglieri Ercole Aprile e Antonello Ardituro, in materia di “tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata”.

Per prevenire e recuperare i minori è, dunque, indispensabile intervenire sulla sfera familiare e/ o sociale di provenienza, in quanto è una delle prime cause che incidono sul percorso di crescita. In particolar modo nelle regioni meridionali si riscontra un frequente coinvolgimento di minori in attività illecite legate ad associazioni criminali, spesso di tipo mafioso ( attività che consistono, ad esempio, nello spaccio di stupefacenti, estorsioni, omicidi).

Forse anche a causa del condizionamento mediatico esercitato da alcune recenti fiction, il fenomeno si è accentuato e la “cultura” mafiosa ha fatto presa sui giovani provenienti da contesti malavitosi. La ricerca del potere, la facile ricchezza e realizzazione di sé, prevalgono sulla pacifica convivenza e mettono le istituzioni sotto una luce negativa.

La soluzione è l’adozione di provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale ( fino ad arrivare alla dichiarazione di adottabilità) e di collocamento del minore in strutture esterne al territorio di provenienza, per eliminare il legame con i condizionamenti socio- ambientali. Pur costituendo l’extrema ratio, la salvaguardia del superiore interesse del minore ad un corretto sviluppo psico- fisico prevale sull’autonomia riconosciuta ai genitori nell’adempimento del dovere educativo. La famiglia di origine, come nei casi in cui i genitori siano dei tossicodipendenti o degli alcolisti, è «famiglia maltrattante» che, per le modalità con cui «educa» i figli, ne compromette lo sviluppo psicofisico.

Per il Csm vanno, in primis, potenziati gli strumenti a disposizione dei giudici minorili, con una azione sinergica da parte dei servizi minorili e dei servizi sociali, e una collaborazione, quando necessa- rio, con gli uffici giudiziari ordinari.

Fondamentale, poi, un riassetto normativo che renda più efficace ed effettiva l’applicazione di questi provvedimenti e che investa anche il diritto penale ( introducendo la pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale per i reati associativi di tipo mafioso) e processuale ( dove si prevede ora l’affidamento alla famiglia anche di minori che abbiano commesso gravi reati). Un discor- so a parte riguarda invece i figli minori di testimoni e collaboratori di giustizia per i quali oltre ad una tutela psicologica bisogna porre in essere le condizioni per un loro inserimento nelle località protette.