Questa però non ci voleva. Gli Elio e le storie tese hanno annunciato il ritiro dalle scene. La storia della musica e del rock in particolare, abbonda di ritiri e rientri: nel 89 andai con un amico a Milano a vedere i Jethro Tull che a noi allora, dopo una ventennale carriera sembravano vecchissimi ( i motori di ricerca mi informano che all’epoca avevano poco più di quarant’anni...), in quella che doveva essere l’ultima tournée e invece, anche se con formazioni molto diverse, sono ancora in giro a suonare, e per il 2018 è previsto un nuovo disco. Rattristato dalla notizia vado sul sito e dalla grafica dell’annuncio penso, spero che sia solo l’ennesima boutade di questi irriverenti e geniali musicisti.

La prima volta che li ascoltai fu a casa di un amico da uno di quei 45 giri “mosci” che erano dati in omaggio su alcune riviste con il singolo Cara ti amo, un brano con un testo irriverente sulle relazioni maschio femmina in giovane età. Era veramente acuto e divertente, un testo in cui noi giovani e sfigati, chiusi in casa a studiare scale e arpeggi in tutte le tonalità, nei pochi contatti che avevamo col genere femminile ci riconoscevamo a pieno.

Quando di lì a poco venimmo in possesso di Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu il primo album, fu chiaro a tutti che non si trattava del solito gruppo di quel genere che all’epoca si chiamava “rock demenziale”. C’erano sì testi divertenti e argomenti scabrosi, ma a differenza degli altri dischi italiani di quel genere, c’era la Musica. Tanta musica e un livello di altissimo di creatività come non se ne sentiva dagli anni ‘ 70: tempi dispari, parodie di cantanti italiani, accostamenti irriverenti ( basti pensare che all’inizio di Carro piano piano e rallentata emerge Back in Ussr dei Beatles), arrangiamenti che spaziavano dal blues al rock AOR, dal Reggae, all’afro, echi di Jazz ecc, citazioni colte come l’apertura di Cassonetto differenziato rubata all’immortale intro di batteria di John Bonham in Rock ‘ n roll dei Led Zeppelin. Insomma un pugno in faccia.

All’epoca alcuni invidiosi li accusavano di copiare troppo Frank Zappa ( come se ciò potesse essere una colpa) e devo dire che le volte in cui qualche raro interlocutore preparato gliene ha chiesto conto in alcune interviste, mi è parso di vederli perdere il loro tradizionale e surreale aplomb con cui superavano le insidie più ostiche del mondo della comunicazione applicato alla musica, tipo: «Di cosa parla il vostro disco?» e innervosirsi. Sicuramente un debito col genio di Baltimora ce l’hanno, nella loro concezione totale della musica, non vincolata dai generi ( cosa che in quegli anni era difficile per tutti, figuriamoci in Italia).

Il secondo album Italyan, Rum Casusu Çikti, quello che li fece conoscere al grande pubblico, confermò tutte le premesse del primo disco e preconizzò gli sviluppi di quella che poi è stata una carriera ricca, creativa e di successo. Dalla Terra dei cachi che poi è entrata nel mainstream, fino alla quanto mai pertinente osservazione dedicata all’autore di Samba i una nota solo: «Jobim non ha avuto le palle di perseguire un obiettivo» della Canzone mononota. Una carriera che ha trasudato intelligenza e cultura in modo commovente.

Per noi musicisti loro hanno rappresentato la possibilità che si potesse vivere decorosamente di questo mestiere, facendo qualcosa di bello e divertente. Qualcosa di colto, ma al tempo stesso non autoreferenziale. Persino il momento più sconvolgente e più triste della loro carriera, ovvero la morte del geniale polistrumentista e mai compianto abbastanza Feiez, fornì spunti di riflessione per la comunità dei musicisti: chi di noi non vorrebbe morire ( beninteso il più tardi possibile) di colpo suonando un brano di Duke Ellington?

Sono certo che tutti i musicisti che conosco se potessero scegliere come morire, questa sarebbe la seconda opzione che si auspicherebbero. E anche se le carriere di molti di noi poi non hanno raggiunto anche solo la possibilità di provare a misurarsi con quel livello di creatività, siamo sempre stati grati a loro per aver fatto quello che noi non siamo stati capaci di fare. «È importante capire quando dire basta e passare a qualcos’altro - ha detto Elio - ci vuole l’intelligenza di capire di essere fuori dal tempo; youtuber, rapper, influencer, queste sono le persone che parlano ai giovani oggi».

E questo è vero, però forte dei loro “insegnamenti” e della mia identità etnica, mi viene da pensare un enorme: «E chissenefrega ( dei giovani)!». Certo, c’è anche «la voglia di fare altro». Si dice sempre in queste occasioni, ma in realtà negli anni tutti loro non si sono mai fatti mancare progetti alternativi e o paralleli, per cui non credo che si questo il caso.

L’unico motivo per cui un artista deve smettere di produrre è quando non ha più nulla da dire e questo di sicuro non sarà mai un loro problema. Ma sono anche ragionevolmente convinto che questo addio sarà solo un arrivederci e che prima o poi avremmo modo di rivederli insieme su un palco e che avranno sempre un consistente numero di adulti, ma ne sono certo anche di giovani curiosi, che riempiranno i posti dove suoneranno.