Il borsino delle scommesse in Transatlantico alla fine dice che il Rosatellum bis dovrebbe passare, ma il parto avverrà con gran dolore. Il relatore della legge, il plenipotenziario renziano Emanuele Fiano, si dice «ottimista». La deputata anche lei renziana Alessia Morani, vicepresidente del gruppo Pd, si dice sicura «al 100 per cento» che Rosatellum sarà. Ma il presidente del Pd Matteo Orfini parlando con Il Dubbio alla vigilia del voto finale sul testo ( non si sa se oggi o domani) è più prudente: «Il voto segreto è sempre un rischio. Noi ce la mettiamo tutta perché la legge vada in porto». E il plenipotenziario berlusconiano nella commissione Affari costituzionali Francesco Paolo Sisto sembra mantenere lo stesso atteggiamento di Orfini: «Il mio è un cauto ottimismo, e anche un po’ scaramantico». Lo stesso capogruppo azzurro a Montecitorio Renato Brunetta ammette che questa «può essere la volta buona».

Approvata ieri la prima fiducia al Rosatellum bis, e però con 307 voti, poiché si è consumato ormai lo strappo con la sinistra di Mdp ( cosa che fa dire a Pier Luigi Bersani: «Berlusconi si dimise proprio con 307 voti!» ) ora tutti i riflettori sono puntati su quello che resta l’ultimo vero brivido caldo e cioè la votazione sul testo finale.

Al solito mal di pancia ci sono dentro un Pd che ormai sembra sempre più indecifrabile, dove ormai i malumori non sono più riconducibili a componenti politiche le quali a cominciare da quella del Guardasigilli Andrea Orlando sono a favore così come ha dichiarato Dario Franceshini, ma i franchi tiratori, ammette uno stesso dirigente renziano «potrebbero spuntare per ragioni individuali o territoriali».

Insomma, si tiene d’occhio fino all’ultimo la possibile rivolta di quei deputati che temono di non essere più eletti in quel 34 per cento di collegi uninominali previsti dalla riforma. E questa è la cosa che agita anche molti deputati forzisti del Sud proprio perché lì la coalizione non la hanno perché di fatto la Lega di Salvini non c’è. Nel Pd, comunque, dice il deputato orlandiano Giuseppe Lauricella: «Il Rosatellum potrebbe unire stavolta davvero tutte le anime e dare più margini a tutti». Gianni Cuperlo uno dei leader della minoranza interna al Pd, insieme ad altri due sembra, ha già votato no alla fiducia. E la ex presidente del Pd Rosy Bindi ha annunciato che all’inverso dirà sì alla fiducia ma no al testo della riforma. Sono pochi segnali, ma non suonano esattamente musica al Nazareno. E Alessandro Di Battista, big dei Cinque Stelle, a Il Dubbio dice papale papale: «Noi saremo in aula ovviamente per vo- tare contro, con l’obiettivo di saldare la nostra protesta con quella dei franchi tiratori interni al fronte dei sostenitori della riforma».

Ma, a conti fatti, in questo fronte per far saltare il banco servirebbero più di un centinaio di voti che sembra un po’ irrealistico reperire sia dentro il Pd che dentro Fi. In ogni caso Berlusconi resta guardingo a Arcore, dopo aver assicurato l’altra sera che lui ce la sta mettendo tutta da uomo responsabile per far passare la riforma ritenendola il male minore. Il perché lo spiega bene una fonte azzurra di rango Il Dubbio: «Dà la possibile con la quota uninominale e quella proporzionale di giocare su due tavoli sia su quello della coalizione di centrodestra sia su quello se proprio necessario delle larghe intese». E dentro Fi si fanno questi calcoli: «A occhio con il Rosatellum Fi potrebbe prendere un centinaio di deputati e il Pd più di 200 cosa che potrebbe consentire le larghe intese se proprio si dovessero rendere necessarie». Cosa che fa dire a Giorgia Meloni: «La legge fa schifo». E invece a Salvini: «O Rosatellum o caos». Ora però se la fiducia sarà messa anche al Senato, come sembra, si creerà lo strano caso che anche lì Forza Italia dovrà uscire dall’aula, senza poter di fatto apporre il proprio sì finale alla legge, dal momento che a Palazzo Madama non è previsto il voto finale sul testo. Sembra che proprio per questo Berlusconi avrebbe preferito andare a un Sì tecnico alla fiducia alla Camera per poterlo consentire anche al Senato. Dopo che alla Camera Fi è uscita dall’aula se «Paolo Romani votasse il sì tecnico alla fiducia apparirebbe come l’inciucista e Brunetta invece come il duro e puro, ma che pasticcio…», si maligna tra gli azzurri. Ma il pasticcio vero è sempre temuto da dentro il Pd. Fa una battuta la deputata azzurra Iole Santelli con Il Dubbio: «Mi sa che è più facile parlare con le tribù libiche che con quelle del Pd». Insomma in quello che Roberto Giachetti, aprendo la seduta in aula ieri mattina, tra le urla dei Cinque Stelle ha definito «il solito circo» fino all’ultimo c’è palpitazione. Ma alla fine seppur con dolore il parto del Rosatellum dovrebbe essere fatto. Anche se non mettono esattamente di buon umore i dirigenti renziani del Pd le dichiarazioni del presidente emerito Giorgio Napolitano che ieri con una nota ha attaccato la decisione di mettere la fiducia: «Limita pesantemente i parlamentari». “Re Giorgio”, che già aveva l’altro ieri criticato l’indicazione sulla scheda del capo di partito, annuncia: «Interverrò nel dibattito sulla fiducia per mettere in luce l’ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi deputato oggi, o senatore domani, può far valere il suo punto di vista e le sue proposte e contribuire così alla definizione di un provvedimento tra i più significativi e delicati». Sulla fiducia si era già espresso in modo critico al consiglio dei ministri l’altro ieri Orlando ritenuto l’allievo prediletto nel Pci di Napolitano. Che la scelta di andare alla fiducia abbia “leso” l’immagine e «la credibilità di Gentiloni» lo afferma Pier Luigi Bersani nella manifestazione contemporanea a quella dei Cinque Stelle. Massimo D’Alema durissimo: «Per la seconda volta nella stessa legislatura abbiamo una legge inaccettabile, segno di irresponsabilità del gruppo dirigente del Pd che logora la democrazia e apre la strada al populismo». Matteo Renzi gli ribatte: «Chi spara sul Pd fiacca l’unico argine che c’è in Italia al populismo». E in serata il segretario del Pd ribatte ai Cinque Stelle: «Fiducia è legittima è un diritto parlamentare, la usò De Gasperi». Suona anche una risposta a “Re Giorgio”. E rivolto ai 5 Stelle: «Ma quale fascistellum, sono accuse assurde».